Il compiacimento dei partiti e SuperMario alle prese con la politica delle acrobazie
FEDERICO GEREMICCA
Proviamo a immaginare (con tutti i rischi del caso) il possibile punto di vista del presidente Mario Draghi di fronte a quel che vede accadergli intorno. Si sarà fatto, probabilmente, un’idea non troppo distante da quella di un qualunque cittadino che stia seguendo con un po’ di attenzione il festival di acrobazie linguistiche che accompagna la delicata partita del Quirinale.
Al di là delle solite fumisterie, quel che si è inteso è questo: la maggioranza dei partiti presenti in Parlamento non vuole le elezioni anticipate, e quindi Draghi deve stare dove sta. Certo, questi stessi partiti – contemporaneamente – non sembrano in grado di accordarsi sul nome del nuovo Capo dello Stato, ma fa niente: il premier non può comunque muoversi, nella convinzione deprimente (per i partiti) che andato via lui nessun altro potrebbe garantire l’equilibrio faticosamente raggiunto tra forze del tutto diverse.
Magari il presidente Draghi non la vede così (è un “tecnico”, no?…) ma la verità non è molto lontana dalla sintesi proposta. E da questo punto di vista la nota con la quale Berlusconi ha temporaneamente alzato bandiera bianca, è esemplare: resti dov’è fino al 2023. A dir la verità, si è anche notato – da qualche parte – un certo compiacimento nel motivare quello che, liberato dai fronzoli, alla fine è un “no”. Del resto: quanti retroscena abbiamo letto su partiti tagliati fuori e arrabbiati dall’evidente decisionismo del premier? Magari qualcuno pensa che questo sia il momento per pareggiare i conti. Vedremo. Chissà.
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