Supermario si può salvare se fa tre telefonate

Alessandro De Angelis

Se Draghi vuole andare al Quirinale, come evidente, forse qualche telefonata dovrebbe cominciare a farla, per affrontare il nodo vero della sua candidatura, ovvero il governo dopo di sé. Non è un consiglio, ci mancherebbe. Solo la considerazione di un cronista che, al terzo taccuino di appunti sul Quirinale, constata che l’ultima pagina è come la prima, alla vigilia del primo voto destinato ad andare a vuoto: nessun grande disegno.

Nelle altre pagine del taccuino sono annotate le buone ragioni per cui finora il premier non ha alzato la cornetta: si sa come va il mondo, se apre una trattativa si ritrova pure la lista degli aspiranti sottosegretari, roba da non uscirne vivo. Però è anche annotata una certa insofferenza dei partiti perché «puoi anche essere il Padreterno, ma il Padreterno non ha il problema di essere eletto». E per il Colle, soprattutto se ha una crisi di governo incorporata, serve il consenso dei partiti, buoni o cattivi che siano. E una regia, che al momento nessuno è in grado di assumere. Né basta l’elemento di pressione sul sistema: in caso di bocciatura, perché così verrebbe percepita dall’opinione pubblica la sua non ascesa al Colle, Draghi se ne potrebbe anche andare. In fondo, è un rischio anche per la sua immagine: è un attimo passare da salvatore a traditore della patria che lascia il Paese senza una rotta tra pandemia da affrontare e Pnrr da completare.

«Né sentimenti né risentimenti» diceva il Talleyrand. La prima telefonata potrebbe farla a Silvio Berlusconi, anche dopo il suo atto di aperta ostilità. Si è capito che il Cavaliere considera Draghi un ingrato, per tante ragioni: non un grazie ai tempi in cui si adoperò per la sua nomina a Bankitalia; per non parlare della Bce quando si spese, e poi ricevette la famosa lettera che fece saltare tutto; infine il governo dell’anno scorso, quando Berlusconi apprese i nomi dei suoi ministri in diretta tv. Appunto, neanche una telefonata. Più quelli di palazzo Chigi parlano col solo Gianni Letta, che in questa partita sta andando oltre il ruolo di ambasciatore, più il Cavaliere si irrigidisce. Giusto o sbagliato che sia, si sa come è fatto l’uomo: se uno fa il Marchese del Grillo con lui perché «io so’ io», quello ti risponde: «E sapessi quanto so’ io». Insomma, a Marchese, Marchese e mezzo, e patatrac. Berlusconi di giravolte ne ha fatte parecchie però, per farle, ha bisogno di un riconoscimento del ruolo, non può apparire sconfitto o peggio umiliato.

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