Quirinale, manovre e doppi giochi sulla strada della presidenza della Repubblica. Ma Giorgetti scommette: «Andrà tutto bene»

di Francesco Verderami

Salvini deve tenere saldo il rapporto con Berlusconi. E Casini inneggia alla «centralità» del Parlamento. L’elezione da costruire un «passo alla volta». Guerini dà i tempi: ci vorrà una settimana

«Andrà tutto bene», dice Giorgetti. E visto che da mesi il ministro leghista teorizza l’ascesa di Draghi al Colle, è chiaro a chi e a cosa si riferisca. Il suo ottimismo pare una volta ancora in contrasto con la linea di Salvini. In realtà la situazione è più complessa, perché la strada verso il Quirinale è tortuosa oltre che piena di trappole. L’atteggiamento del leader leghista, il modo in cui ripete che il premier dovrebbe restare a palazzo Chigi, è dettata (anche) dalla necessità di tenere saldo il rapporto con Berlusconi. E la spiegazione della sua prudenza emerge da un colloquio tra esponenti dem con parigrado azzurri, secondo i quali non dovrà essere Salvini a intestarsi la candidatura di Draghi per non sconfessare il Cavaliere. In questa fase il capo del Carroccio non solo deve garantirsi la tenuta di Forza Italia — dove sta facendo breccia il nome di Casini — ma deve inoltre capire quanto è forte il fronte del dissenso nel Pd e nel Movimento e quali mosse gli avversari hanno in serbo.

La corsa sta per entrare nella fase più insidiosa: nei prossimi due giorni — all’ombra delle schede bianche — inizieranno manovre e doppi giochi, con i quirinabili al centro del mirino. Un passo falso e salta tutto. Perciò, in attesa di arrivare all’atto conclusivo, andranno consumati una serie di passaggi: il centrodestra dovrà prima celebrare il rito della rosa e nel centrosinistra andrà chiarito il punto di caduta comune, per quanto sarà possibile. Ieri Draghi ha visto e sentito tutti, nelle stesse ore in cui Casini stava a Montecitorio per votare (e in prospettiva farsi votare). Con un tocco degno della tradizione democristiana, l’ex presidente della Camera aveva rilasciato il giorno prima una dichiarazione alla cronaca locale del Resto del Carlino, nella quale inneggiava alla «centralità» del Parlamento «troppe volte mortificato». Un modo per sottolineare come siano solo lui e la Casellati gli unici candidati «politici» per il Colle, in mezzo a tanti «tecnici».

Un chiaro riferimento a Draghi, che è il più esposto e su cui si concentra la maggior pressione. Da giorni Renzi lo continua a chiamare in causa, tenendo un piede nel campo di Casini. Chi lo conosce, come il democratico Delrio, pensa che stia «preparando una sorpresa». Ma non sembra esserci spazio per terze soluzioni, per quanto ieri il capogruppo di M5S alla Camera provasse ad aggrapparsi a uno scoglio che non c’è: «Insistete su Mattarella», ha implorato agli alleati del Pd. Il fatto è che anche il Nazareno non ha molti margini di manovra, anche Letta deve districarsi tra quanti fanno muro contro Draghi (come Franceschini) e quanti sono pronti a boicottare l’accordo su Casini (come i riformisti). Per questo l’altra sera il leader democrat si è espresso per un «bis» dell’attuale capo dello Stato: una sortita a sorpresa che ha suscitato dubbi anche tra i membri della sua segreteria.

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