Ucraina, lungo la linea rossa tra i tunnel e le valigie di chi scappa

di Francesco Battistini

DAL NOSTRO INVIATO
KHARKIV- Più rete, forza, più rete per chiudere il confine! «Due terzi della frontiera con la Russia sono ancora una pianura aperta…». E più terra, avanti, più terra per nascondere la rete! «Non si può dare ai russi nessun vantaggio…». E più neve, sbrigarsi, più neve per coprire la terra! «Il nostro argine di difesa dev’essere invisibile…». Più invisibile di così, è difficile: i soldati, i blindati, i missili ci sono, ma dove sono? La prima linea che attraversa l’ultimo villaggio ucraino prima della Russia, Zvyazkov, sprofonda sottoterra e nel gelo invernale d’una guerra che più bianca e invisibile non si può. Sopra c’è l’immobilità, un silenzio da fantasmi: casette coi comignoli che fumano placidi, tre macchine ghiacciate, un cane che abbaia. Sotto brulica di tutto, uomini come topi: forze speciali e riservisti, armi dall’America e batterie di missili . A Ginevra e a Bruxelles, a Washington e a Mosca discutano finché serve: qui, ci si porta avanti. Lungo la frontiera, qualche torretta s’alza d’una cinquantina di metri, sul tetto telecamere-spia h24 e a 360 gradi. Ogni tanto, il colonnello Trubachov organizza brevi tour a uso propaganda, per mostrare come l’esercito ucraino non sia lo stesso che nel 2014 si fece rubare la Crimea senza sparare. Niente video, però. Niente domande: «Questa è un’emergenza nazionale», dice il colonnello. Ed è per i campi innevati di Zvyazkov, sopra le trincee scavate di fretta, lungo i 280 chilometri d’un confine che confine non è mai stato davvero — «lo sapete che una volta andavamo dall’altra parte, a Belgorod, a comprare le trebbiatrici russe che costano meno?» —, è di qui che passa la vera linea rossa tra Putin e l’Occidente.

Più rete, più terra, più neve. La cortina di ferro del Duemila è questo profondo est dell’acciaio e del carbone. Estremo — perché le trincee sono solo a 40 km dalla seconda città dell’Ucraina, Kharkiv —, ma non estremista come un tempo. Russofono — perché soltanto il 15 per cento non usa il cirillico — ma meno russofilo, perché otto anni di guerra civile nel Donbass hanno spaventato tutti. «Io sono sempre stato vicino ai russi — dice Igor Trekhov, 55 anni, il sindaco —, eppure mi sento ucraino. Vogliamo avere buoni rapporti con loro, però non possiamo accettare un’occupazione militare. Kharkiv è pronta a combattere, se serve».

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