Quirinale, la cautela di Draghi di fronte a scenari che cambiano in fretta: posso solo assistere

di Monica Guerzoni

Fermo, apparentemente immobile. Impressionato dalla velocità con cui lo scenario cambia e convinto di non avere più alcun margine di manovra. «Non posso fare nulla, posso solo assistere», è lo stato d’animo con cui Mario Draghi aspetta la terza giornata delle elezioni per il Quirinale, la prima in cui i rispettivi blocchi potrebbero misurare la loro forza numerica. «La strada è irta d’ostacoli, ma ancora lunga», confida nella carta Draghi il ministro Giancarlo Giorgetti , che per primo si è speso in favore del grande «trasloco». Sempre a Montecitorio, alle cinque della sera, il responsabile della Difesa Lorenzo Guerini viene intercettato mentre parla a quattr’occhi (e sottovoce) con Riccardo Fraccaro: «Su Casini ci potreste arrivare voi?». Lo stesso Fraccaro che era stato accusato di aver offerto a Salvini un pacchetto di voti per Tremonti…

Sondaggi come questi, veti, manovre e giravolte spiegano perché Draghi abbia frenato rispetto all’accelerazione di lunedì, ritenuta un mezzo azzardo dalle segreterie politiche. Il premier ieri ha scelto un profilo più cauto, evitando di rendere noti telefonate e incontri. A mezzogiorno si è assentato per due ore, ma era solo andato a pranzo a casa. E se a Palazzo Chigi le luci sono rimaste accese fino a tardi è perché il presidente è stato al lavoro sui dossier, dai 468 morti di Covid alla crisi Ucraina-Russia: «L’azione del governo non può fermarsi».

A sentire grandi elettori e ministri intabarrati nei giacconi in un Transatlantico glaciale, le quotazioni dell’ex presidente della Bce «sono in calo». Al punto che nel Pd si diffonde il timore che Draghi possa tirarsi fuori. Paura infondata, assicurano i collaboratori del premier. Ma l’umore in piazza Colonna non è alle stelle. «È abbastanza chiusa — commenta il dem Matteo Orfini Conte è stato durissimo». Il leader del M5S l’ha giurata a Draghi e il premier, che pure comprende il suo disagio, non si aspettava tanta violenza verbale da parte del predecessore. Sentir dire a Conte che il suo ruolo è difendere l’interesse del Paese e non quello di Draghi lo ha impressionato, almeno quanto la drastica nota di Berlusconi il giorno del ritiro.

E non basta, perché anche a Palazzo Chigi arrivano le voci di chi pensa che «Salvini punta al jackpot, vuole far saltare il banco». Eppure il canale di comunicazione non si è chiuso, segno che dietro le rose di nomi la trattativa continua. «Ci siamo risentiti con Draghi», conferma il segretario leghista e smentisce di aver contrattato «poltrone e ministeri». Eppure, nel confronto che Chigi ha aperto lunedì con i leader di maggioranza la questione del «governo di dopo» è centrale. Salvini avrebbe chiesto un rimpasto corposo e la casella del Viminale e Draghi, concesso che «il nome del premier lo decidono i partiti», ha illustrato una ricetta diversa. Un governo con lo stesso impianto e le stesse caselle e, per ogni forza politica, la libertà di cambiarsi i suoi ministri. La divergenza di posizioni ha complicato il dialogo e fatto risalire le quotazioni di Casini e Amato, due nomi su cui anche il Pd sta seriamente lavorando.

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