Quirinale, l’intesa necessaria

Da oggi l’elezione dovrebbe essere più facile perché «bastano» cinquecentocinque voti: la maggioranza assoluta rispetto ai due terzi dei primi scrutini. Ma le virgolette sono necessarie perché fino a sera inoltrata si fronteggiavano liste contrapposte, bocciate reciprocamente. Il nome del premier Draghi e quello di Casini sono rimasti sullo sfondo della trattativa. Ma lasciati a mezz’aria per l’incrocio con la soluzione del rebus del governo; e, almeno in apparenza, insidiati da candidature «laterali» come quella di Elisabetta Belloni, al vertice dei servizi segreti, e di altre che galleggiano nella notte.

È l’esistenza della doppia partita, per il Quirinale e per Palazzo Chigi, a rendere il finale estremamente incerto. Non si tratta solo di un incastro istituzionale complicato, ma del fatto che Draghi è comunque una figura centrale e difficilmente sacrificabile senza provocare contraccolpi anche sul piano internazionale. Di fatto, insieme con Mattarella ha garantito e accresciuto una credibilità che all’Italia mancava da tempo; e che i primi due anni e mezzo di governi a guida grillina hanno rischiato di mettere in discussione anche per l’ambiguità iniziale sulle alleanze con l’Europa e la Nato.

Questo rischio si è fortemente ridimensionato, ma non è scomparso del tutto. E dunque, l’esigenza di assicurare un ancoraggio forte a questi principi per i prossimi anni rimane prioritario, che sia scelto Draghi o un altro capo dello Stato. Non si può ignorare l’incognita che l’uscita di scena contemporanea di due garanti come lui e Mattarella rappresenterebbe; né le conseguenze che avrebbe sugli aiuti concessi all’Italia dalla Commissione europea per ricostruire l’economia e riformare il Paese dopo il dramma del Covid. I tentativi di unità che le forze politiche si sarebbero convinte a compiere nelle ultime ore sono una traccia da non perdere. Presto si capirà se il Parlamento sarà in grado di seguirle con coerenza fino al risultato finale.

CORRIERE.IT

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