Quirinale, l’ultima trattativa: Salvini e Meloni rischiano di rompere, mentre Letta e Renzi si sfidano

Annalisa Cuzzocrea

«Giorgia, hai visto Matteo? Sai dov’è finito?». Il sole è già tramontato quando Enrico Letta chiama la leader di Fratelli d’Italia per cercare di capire cosa stia succedendo. È passata qualche ora dal momento in cui – al mattino – tutti chiamavano tutti. È calato un silenzio strano. Il cellulare del segretario leghista è spento. Il Nazareno entra in allarme. Ma anche nel centrodestra sanno poco. Girano vorticosi sull’intero Parlamento – intento a votare contandosi e mandando segnali (Mattarella! Crosetto!) – due nomi su tutti: quello di Mario Draghi, ancora. Quello di Pier Ferdinando Casini, di nuovo.

Il tentativo di spallata del centrodestra, con l’aiuto di pezzi di Italia Viva e di 5 stelle, oltre che del sempre numeroso gruppo misto, è tramontato nel momento in cui Salvini si è fatto sentire per dire che no, non porterà in aula il nome di Maria Elisabetta Casellati come Giancarlo Giorgetti e Giorgia Meloni lo spingevano a fare. Già il fatto che siano loro a proporre di spingere sulla presidente del Senato gli fa pensare che sia più per mandarlo a sbattere, che per sperare in una comune vittoria. Così manda a Letta e Conte il segnale concordato: la mossa è sventata. Poi però scompare.

Ci sono almeno due squadre in tutti i principali partiti protagonisti di questa storia (tre nel Pd, ma non è una novità). E ci sono duelli interni che si combattono senza lanciare il guanto di sfida. La candidatura di Casellati non scompare solo – sempre che Salvini stia i patti – per la richiesta di Giuseppe Conte ed Enrico Letta di non spaccare tutto, altrimenti si va al voto. Ma perché su quel nome ci sarebbero più franchi tiratori di Forza Italia che sostegni esterni. D’altro canto, se la Lega nella notte dirà il suo sì alla candidatura di Casini, dovrà spezzare la catena che la vincola a Giorgia Meloni tentando però di portarsi dietro Forza Italia. Non è una scelta semplice e potrebbe non essere immediata. Si potrebbe cioè prima tentare di votare un candidato di centrodestra, quanto meno per dimostrare di volerci provare. È di questo che Salvini intende parlare nel vertice che però è stato spostato a stamattina. Solo lì si capirà chi vincerà il primo dei tre derby in corso.

Il secondo è tra due vecchi avversari, Enrico Letta e Matteo Renzi. Entrambi fanno notare di stare marciando uniti. Insieme hanno affossato la candidatura del presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini. Ma sebbene l’uno dica all’altro, «Draghi o Casini, a me vanno bene entrambi purché ci si arrivi in un quadro condiviso», la verità è che nel primo caso Letta potrebbe rivendicare di aver vinto (rivincita?) contro un asse Renzi-Franceschini che in passato gli ha già fatto del male. Se a spuntarla fosse invece il senatore eletto nelle file del Pd, con un passato nel centrodestra di Silvio Berlusconi e origini ultrademocristiane, il trofeo di kingmaker cui tutti sembrano ambire, come se l’elezione del presidente della Repubblica fosse diventata una corsa di cavalli, andrebbe al leader di Italia Viva. Con appena 50 grandi elettori.

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