Quirinale: la resa dei conti
Annalisa Cuzzocrea
ROMA. «Se pensano di continuare a giocare così coi nomi, non hanno capito che stiamo andando tutti a sbattere. E che non ci sarà alternativa a una crisi di governo e al voto anticipato». Luigi Di Maio ha il passo svelto e un nugolo di parlamentari 5 stelle impensieriti accanto a sé quando lascia gli uffici della Camera dei deputati, nel gelo di un giovedì passato sull’ottovolante. «Hanno iniziato a giocare con Elisabetta Belloni, un profilo altissimo, una mia cara amica», dice il ministro degli Esteri smentendo chi invece descrive una distanza tra i due. «Nessuno può strumentalizzare una candidatura del genere: se c’è la volontà di votarla la si voti subito, con un accordo blindato tra tutti. Ma se poi un partito si tira indietro significa che quel che si vuole è solo spaccare la maggioranza. Portando inevitabilmente alle urne».
Dice, Di Maio, che non si fanno «tatticismi con profili così alti. O si punta a fare un accordo serio con tutte le forze di maggioranza, oppure si rischia». Perché quello che è accaduto al mattino su Belloni è successo poi a sera sul presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini e forse su Giampiero Massolo. Certo, prima, su Sabino Cassese. Matteo Renzi ha detto – con una durezza inaspettata – che sembra X Factor. Enrico Letta, che ha passato il pomeriggio chiuso ad attendere segnali seri mentre Conte spariva per ore dopo pranzo e Salvini rilasciava le ennesime dichiarazioni contrastanti, a sera è esploso parlando di “scarsa serietà” e “provocazioni”. «Siamo in mano ai pazzi», dice ai suoi il leader di Italia Viva. «Dove vuole andare a parare Giuseppe?», si chiede sempre più preoccupato il segretario pd. E’ arrivato il momento del tutti contro tutti.
Le montagne russe sono cominciate quando Giuseppe Conte e Matteo Salvini hanno pensato di dover fare da soli. Di dover trovare loro, un nome, per evitare quello su cui entrambi hanno posto un veto: Mario Draghi. Nella disperazione di non sentirsi capito dal Partito democratico, creduto fino in fondo, con i gruppi che danno segnali di fedeltà più a Di Maio che alla loro legittima guida (120 dei 166 voti su Mattarella sarebbero stati coagulati dal capo della Farnesina), il presidente M5S ha cercato di stringere il più possibile un patto con l’ex nemico, l’uomo di cui aveva giurato non si sarebbe fidato mai più. E’ su quest’asse che è nata in una notte la candidatura di Elisabetta Belloni, accettata da Enrico Letta, ma poi subito ripudiata da un pezzo di gruppi parlamentari del Pd, degli stessi 5 stelle, di Italia Viva. Al Senato, si riuniscono i senatori pd. Andrea Marcucci è il più ostile, ma non è la sua opinione a colpire, quanto quella di un veterano come Luigi Zanda. «Belloni tra tutti i dirigenti dello Stato che ho conosciuto è quella di maggiore livello, ma stiamo molto attenti a metterla a scrutinio segreto a camere riunite. Se venisse bocciata, sarebbe un pasticcio gigantesco. Non solo non avremmo risolto il problema del Quirinale, ma avremmo bruciato il capo dei nostri servizi segreti. Non sono cose su cui scherzare. Non sono proposte sulle quali si può agire da dilettanti».
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