Conte teme il ritorno a Draghi e minaccia l’uscita dal governo
Federico Capurso
Un’altra giornata di incontri, di telefonate tra leader, di nomi bruciati. E alla fine, un’altra fumata nera. I fedelissimi di Giuseppe Conte osservano lo stallo e iniziano a temere che la strada che porta Mario Draghi al Quirinale sia destinata a riaprirsi. In mattinata, quando il premier telefona a Silvio Berlusconi, ancora ricoverato al San Raffaele, per molti di loro la paura diventa quasi una certezza: «Draghi si sta muovendo. Per noi è un disastro». Timori che non trovano conforto nemmeno quando, in serata, il coordinatore degli azzurri Antonio Tajani esce da palazzo Chigi dopo aver incontrato il premier, confermando «la posizione di Forza Italia, per cui Draghi deve proseguire alla guida del governo». Si tratta di un altro no alla corsa del premier al Colle, dopo quello dell’asse Conte – Salvini, ma non basta perché quasi tutte le alternative stanno saltando, una dopo l’altra, affossate dai veti incrociati. Conte, in serata, si mostra spazientito: «Questo è il momento di trovare una soluzione condivisa, non di complicare ulteriormente il quadro. Confido che le forze di centrodestra accettino al più presto un confronto». E se invece si finisse di nuovo sul nome di Draghi – avvertono i big M5S più vicini al leader –, a quel punto «non potremmo votarlo, anche a costo di tornare all’opposizione o al voto».
Eppure, nessuno è davvero sicuro di quanti parlamentari siano pronti a seguire l’ex premier, una volta messi davanti a un bivio. I voti convogliati sul nome di Sergio Mattarella – che già ieri venivano interpretati come un avvertimento a Conte a non scegliere opzioni indigeste ai gruppi di Camera e Senato – sono cresciuti fino ad arrivare a quota 166. Un numero ascritto in gran parte a parlamentari alla seconda legislatura, ribelli, cani sciolti, ma anche a uomini vicini a Luigi Di Maio. I fedelissimi del ministro degli Esteri, d’altronde, fanno di tutto per non nascondere, passeggiando in Transatlantico, di aver votato per l’attuale Capo dello Stato. Un modo per contarsi. Perché l’ex capo politico dei Cinque stelle è ancora convinto che di questo passo si andrà a finire sul nome di Draghi e che, per il Movimento, questo veto sul premier si rivelerà un disastro politico. I suoi uomini hanno fissato come quartier generale l’ufficio del deputato campano e segretario d’Aula Luigi Iovino dove discutono della strategia finora fallimentare di Salvini, visto muoversi come «un rabdomante», incastrato tra la volontà di tenere unita la coalizione di centrodestra e, al tempo stesso, la maggioranza. Servirebbe, insomma, un nome condiviso da tutti, dalla sinistra di Leu alla destra di Fratelli d’Italia, e la ricerca – agli occhi del ministro degli Esteri – li ha condotti in un labirinto senza uscita. Troppi nomi di peso, per Di Maio, sono stati usati in modo strumentale, da quello del capo del Dis Elisabetta Belloni (che definisce «una sorella») a quello di Sergio Mattarella. «Vanno protetti», spiega ai suoi. Dal centrodestra, poi, devono arrivare proposte fattibili, come sottolinea il suo braccio destro, la viceministra Laura Castelli, che di fronte all’ipotesi della candidatura di Franco Frattini avverte: «Così si spacca la coalizione di centrosinistra e di conseguenza anche la maggioranza. È segno che non c’è volontà di trovare una soluzione».
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