Il gioco di rimessa e il doppio rischio che corre Letta
Federico Geremicca
Ieri ci ha rimesso le penne addirittura la presidente del Senato, seconda carica della Repubblica. Ha voluto candidarsi – o lo hanno voluto Salvini e Meloni – ed ha ottenuto la miseria di 382 voti: poco meno di cinquanta in più di quelli arrivati – in serata – a Sergio Mattarella. Che non solo non è candidato, ma di quei voti non ne vuol sapere. «Bisogna tenerne conto», annotano invece fonti anonime del Pd. E forse qualcosa comincia a venire più in chiaro.
La sensazione, infatti, è che il gioco di rimessa scelto da Enrico Letta – scelta forzata, ovviamente, e dettata dai numeri – non possa durare ancora a lungo. Fino ad ora, è vero, ha funzionato alla perfezione. Scegliere di far fare la partita al centrodestra – sicuro che alla fine del primo tempo sarebbe già scoppiato – si è rivelata una mossa furba. Un retropensiero, forse, gli suggeriva che – pasticcio dopo pasticcio – si sarebbe arrivati a Draghi. O a Mattarella. Ma non è successo, o non è ancora successo.
A questo punto, il segretario del Partito democratico corre un doppio rischio. Il primo, è finire nei panni del Signor No, quello che impedisce l’elezione di un presidente (ed i suoi no, in effetti, sono stati tanti); il secondo, è vedersi piombare addosso l’onere di una proposta: e al punto cui si è giunti, insistere sul nome di Mario Draghi potrebbe non esser più sufficiente. Inoltre, i due «nemici per la pelle» – Conte e Salvini – hanno ripreso davvero a parlarsi. E potrebbe venirne fuori di tutto…
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