La giornata dell’elezione di Mattarella: la svolta, i leader confusi, l’applauso liberatorio

di Aldo Cazzullo

Le parole di Salvini, il tweet furioso di Meloni, il catenaccio di Letta, la gioia dei peones, la processione dei capigruppo, il caso-Giorgetti. Fino all’applauso finale, che fa calare il sipario su una settimana surreale

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La svolta della settimana che – per la seconda volta nella storia – ha visto la rielezione del capo dello Stato è alle undici del mattino del sabato. Matteo Salvini ha appena annunciato il sì alla rielezione di Sergio Mattarella. Si ferma un attimo in un angolo, al secondo piano di Montecitorio: «Io il grande sconfitto? Ho fatto diciotto riunioni, tutte inutili. Ho proposto nomi importanti, tutti bruciati. Ho detto alla sinistra: fateli voi, i nomi. Hanno risposto: Belloni, e poi se la sono bruciata loro. Basta. Mattarella resta al Quirinale, Draghi a Palazzo Chigi, i ministri e i parlamentari al loro posto»; e che cominci la campagna elettorale, l’unico contesto in cui Salvini dopo i disastri di questi giorni si sente davvero a proprio agio.



Giorgia Meloni twitta: «Salvini propone di andare tutti a pregare Mattarella di fare un altro mandato. Non voglio crederci». Parole quasi sprezzanti per sancire che il centrodestra non esiste più, a questo punto ognuno per sé; e la Lega potrebbe prenderla in parola e lanciare la riforma proporzionale, graditissima ai democristiani del Pd, ai 5 Stelle e a Forza Italia. Dal suo letto d’ospedale, Berlusconi fa sapere che va bene così: se il capo dello Stato non può essere lui, meglio che non sia nessun altro; si va avanti con quello che c’era già.

In Transatlantico, Enrico Letta ha rimesso gli occhiali, che alle maratone tv si toglie perché la mascherina li appanna. Ha adottato la tecnica del Padova di Rocco, il catenaccio; è rimasto fermo, lasciando che gli altri andassero a sbattere. Ora dice: «Il Mattarella bis era il nostro sogno. È diventato realtà». Draghi però avrebbe garantito il Paese per sette anni; se nel 2023 la destra avrà la maggioranza in Parlamento, cosa accadrà? «Cercheremo di evitare che la destra abbia la maggioranza in Parlamento». Il ministro Andrea Orlando: «Aspettiamo a esultare, Salvini sarebbe capace di bruciare pure Mattarella». «Sergio è ignifugo» lo rassicura un peone. I peones, loro, sono decisamente allegri: sentono di aver sconfitto i tecnici e soprattutto di aver salvato lo stipendio, e pure la pensione.


Oltre a quelli del Pd, anche i grillini votano in massa Mattarella già nell’inutile rito del mattino: alla fine sono 387 le schede per il presidente. Dieci irriducibili votano Pierferdinando Casini, che si fa vivo rinunciando fuori tempo massimo a una candidatura a cui nessuno ha mai messo il veto, ma che non ha mai convinto davvero nessuno. Mario Draghi ha due voti, gli stessi di Emilio Scalzo, leader No-Tav finito in galera per aver picchiato un gendarme francese («se avesse picchiato uno dei nostri non gli sarebbe successo niente» mormora il questore della Camera Edmondo Cirielli, Fratelli d’Italia, ex carabiniere). La rielezione di Mattarella evita al premier l’umiliazione pubblica, ma pure la sua figura esce un po’ appannata: non aveva nascosto di tenere al Quirinale, e quasi tutti i partiti hanno fatto di tutto per non mandarcelo.

Alle tre di pomeriggio la penosa processione dei capigruppo – tra cui molte donne: Boschi, Bernini, Malpezzi, Serracchiani, Unterberger… – sale al Colle per implorare Mattarella di accettare la rielezione. Subito dopo arrivano al Quirinale pure i presidenti di Regione, sollevati: «I nostri elettori si lamentavano, i voti per Terence Hill e Nino Frassica li facevano molto arrabbiare». Giani (Toscana) racconta che Mattarella non appariva poi così affranto, anzi, «mi è parso soddisfatto, pronto ad andare avanti. I suoi collaboratori, Zampetti, Guerrini, erano felicissimi».

Al di là dell’enfasi mediatica su scatoloni, traslochi e caparra della nuova casa , che alla lunga potrebbe non avergli giovato, il presidente era sincero quando sperava di avere un successore. Ha preso un Paese gonfio di risentimenti antieuropei e antisistema, e si apprestava a lasciarlo con il più europeista dei governi, sostenuto dalle forze un tempo antisistema. Nei mesi più duri della pandemia ha rappresentato lo spirito di resistenza degli italiani. Dalla rielezione, per quanto storica, ha tutto da perdere. C’è un unico precedente: nel 2013 Napolitano maltrattò i grandi elettori che lo acclamavano, chiedendo riforme costituzionali che non hanno fatto una bella fine, mentre lui si dimetteva dopo due anni. Mattarella è stato chiaro su questo punto: non esiste l’istituto della rielezione a tempo; il presidente è arbitro del proprio destino.

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