La giornata dell’elezione di Mattarella: la svolta, i leader confusi, l’applauso liberatorio
Alle quattro e mezza del pomeriggio ricomincia per l’ultima volta la sequenza della chiama, delle mani da disinfettare, delle schede: la segretaria generale del Senato Serafin le apre, Fico le legge, la Casellati, che si è ripresa, le verifica. Ovviamente ora sono tutti i migliori amici di Mattarella. Clemente Mastella, che non vota – lo fa per lui la moglie senatrice – ma viene qui tutti i giorni, rievoca quando non avevano ancora trent’anni, «io ero capufficio stampa della Dc, Sergio era direttore del Popolo, e ci alternavamo come editorialisti. Poi lui diventò ministro, io sottosegretario: dovevo andare agli Interni con Gava, ma Sergio mi disse: Gava non ti vuole, perché non vai con Martinazzoli alla Difesa?».
Un capannello di parlamentari toscani sta parlando ovviamente di Renzi: «Stavolta Matteo non ha fatto il king-maker, ma ha bruciato prima Frattini, poi la Belloni. Questa notte la capa dei servizi avrà sfogliato il suo dossier, alla ricerca di qualcosa che non fosse ancora uscito…Matteo stesso l’ha detto: “Se adesso sparisco…”». Ovviamente scherzano. Non era una burla però il trionfale tweet di Grillo — « Benvenuta Signora Italia, ti aspettavamo da tempo» — scritto quando ormai la candidatura Belloni era stata affossata. Insomma i leader non ci stanno capendo più nulla. Si affaccia Conte, a esprimere soddisfazione nella sua neolingua borbonica: lui avrebbe preferito una donna, ma i gruppi erano per Mattarella, quindi va bene così. I 5 Stelle sono i più numerosi e i più divisi, infatti finiranno per scindersi tra i puri e i governisti, ma per il momento hanno retto anche se in serata esplode lo scontro Conte-Di Maio. Tra i forzisti colpiva la gioia maligna con cui molti hanno accolto la bocciatura della Casellati.
Micciché, sicuro fin dall’inizio della rielezione di Mattarella, spadroneggia: «Se volete vi do anche i numeri del Superenalotto e i vincitori delle corse ippiche, la schedina l’hanno purtroppo abolita». La Meloni apprezza meno la sicilitudine: «Siamo al Gattopardo, tutto deve cambiare affinché nulla cambi. Noi votiamo Nordio». Alla fine l’ex pm avrà 90 voti, 27 in più dei grandi elettori di Fratelli d’Italia: forzisti che gradirebbero tornare in Parlamento con l’amica Giorgia. Mattarella segue lo spoglio nel suo appartamento privato al Quirinale, insieme con i figli, i nipoti, i collaboratori; prepara qualche parola da dire agli italiani, in attesa di parlare alle Camere la prossima settimana. Ex deputati che proprio non riescono a dimenticare la politica fanno l’aperitivo alla buvette.
Alla fine, quando il rito consacra l’eletto anzi il rieletto, si crea sempre un’atmosfera, se non di solennità, di serietà. Alle 8 e 20 si arriva a quota 505, un grande applauso saluta idealmente Sergio Mattarella, anche se la pandemia impone pure qui il distanziamento. Letta dà il cinque a Fiano, Malpezzi, Serracchiani e al tesoriere Verini, che raccoglie matite elettorali per ricordo. Da destra applausi brevi, non c’è molto da festeggiare, il leghista Claudio Borghi si incupisce: «Molto buia è la notte». Giorgetti smentisce le voci di dimissioni , ma vuole portare Salvini da Draghi per parlare di un anno di governo che sarà durissimo.
Alle 20 e 44 Fico legge il responso, Mattarella ha 759 voti, ne mancano qualche decina. I grandi elettori si scattano a vicenda foto ricordo. Arriva Conte, di persona è decisamente più sciolto che in tv, abbraccia Letta, si fa i selfie – «fate presto che non riesco più a trattenere la pancia» – con i grillini, prudentemente si fa ripetere il loro nome; nel frattempo Di Maio chiede un «chiarimento politico».
I ministri del Pd assicurano che non c’è stata nessuna regia occulta, che ha contato molto la spinta dal basso del Parlamento, che ha cominciato a votare Mattarella anche quando la consegna era scheda bianca. Il messaggio dei peones era per Draghi: sentono di non contare molto più di nulla, sorvolati dai voti di fiducia, irrisi dai social; ma il capo dello Stato lo eleggono ancora loro; il tempo dirà se è stata lungimiranza oppure orgoglio.
Fuori nella notte attendono le autoblù, che portano Casellati e Fico sul Colle. Da Mattarella poche parole: le sue «prospettive personali» erano altre, ma l’emergenza sanitaria, economica, sociale, la volontà del Parlamento, il senso di responsabilità impongono di «non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati». Nel Transatlantico ci si congratula l’un l’altro, si ha fretta di dimenticare. Le trattorie attorno sono tutte prenotate. La vita incombe: la pandemia, le bollette, il Pnrr, l’inflazione, pure l’Ucraina, invocata di continuo anche se a nessuno importa nulla.
Cala il sipario, con un certo sollievo degli spettatori, su questa settimana surreale: i superalbi di Diabolik dell’on. Cantone, l’esilarante e melanconico resoconto sgarbiano delle telefonate tra Berlusconi e gli scoiattoli, il deputato in Ferrari, le ambulanze che ancora ieri mattina portavano a votare scheda bianca qualche parlamentare positivo al Covid mentre a duecento metri da Montecitorio una donna moldava morente aspettava un’ambulanza vera per un’ora, il leggendario Toninelli che esordisce «oggi è il giorno del silenzio» e poi arringa le telecamere per venti minuti, l’onorevole No Vax Sara Cunial che contesta la legittimità dell’elezione perché lei non ha potuto votare; e i tanti dettagli della commedia del potere impotente, i mille piccoli disgusti di se stessi – direbbe Rostand – che alla fine non fanno un rimorso pieno, ma un malessere oscuro.
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