Draghi sconfitto rilancia il governo: non vuole toccare la squadra e stoppa il pressing della Lega
Mentre alla Camera è in corso l’ottava votazione, Giorgetti viene circondato da alleati e avversari. È amareggiato: sostiene che «eleggere Mattarella è stata una mossa della disperazione» di partiti che «non sono stati in grado di eleggere un presidente, né di destra né di sinistra». È la dimostrazione che «dal bis di Napolitano non è cambiato nulla». Tutti i parlamentari che lo fermano gli chiedono cosa abbia in mente. Lui si muove nervosamente e quando si apparta per una chiacchierata con Anna Ascani del Pd sul futuro del governo sentenzia: «Il problema è cosa succederà nei prossimi due mesi». Il leghista aveva lavorato per portare Draghi al Quirinale e Draghi cerca di tranquillizzarlo pregandolo di non lasciare l’esecutivo. «Ma serve un nuovo metodo – risponde da Montecitorio – per non trasformare quest’anno in una lunga campagna elettorale». «Abbiamo bisogno di una maggiore solidarietà di governo», aggiunge. Una tregua. «Per evitare che ci prendiamo a botte». Vale anche per Salvini? «Per tutti, Conte, Letta, Salvini…» Ce l’ha con il Pd, che è già al lavoro per un sistema proporzionale. Ma anche con il leader del Carroccio: è stanco del controcanto di Salvini sui dossier che poi tocca a lui affrontare da capodelegazione.
Di fronte a queste fratture interne alla maggioranza, Draghi dovrà dimostrare di non essere indebolito ma, come credono tanti suoi ministri, più autonomo e libero di camminare sulle ossa degli azionisti del governo. Quando torna nel suo ufficio, dopo il colloquio con Mattarella, Draghi è quasi euforico. Il senso di sollievo serve a coprire l’amarezza di non essere riuscito a conquistare il cuore dei deputati e dei senatori, ma è anche un moto sincero di liberazione perché sono state scongiurate alternative all’attuale presidente della Repubblica che i collaboratori del premier non hanno esitato a considerare più «umilianti» per il presidente del Consiglio. Non per i loro profili, ci mancherebbe. Ma perché l’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini ed Elisabetta Belloni, l’ambasciatrice da lui nominata a capo dei servizi segreti, avrebbero messo in luce la sua sconfitta. Draghi non ha compreso l’animo feroce della politica, e fin dove può arrivare l’istinto di conservazione dei parlamentari. Però vedendo il completo fallimento delle leadership, incapaci di orientare i propri gruppi, sa che toccherà anche a lui colmare questo vuoto assieme a Mattarella.
LA STAMPA
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