I partiti tra agende e agendine: le insidie dell’anno che verrà

A suo tempo, Berlusconi, gli va riconosciuto, aveva grande talento nel cimentarsi nello scouting. A volte sbagliava e trovava personaggi che si poteva capire fin dall’inizio non sarebbero stati all’altezza del ruolo per il quale erano stati individuati. Ma Berlusconi era capace di trovarne in grande quantità e alcuni si mostrarono talentuosi. Salvini (e Meloni), quantomeno in apparenza, non si pongono neanche il problema di individuarli se non a ridosso degli eventi. E, nel momento in cui sono costretti a prendere grandi decisioni, danno l’impressione di improvvisare. Tutto ciò va ad aggiungersi alle loro ben note discordie.

Talché il fatto che la partita del Quirinale si sia conclusa senza vincitori né vinti, per i partiti, anche quelli più in difficoltà, è quasi rassicurante. Adesso possono contare, tutti, su un tandem rafforzato (presidenza della Repubblica e presidenza del Consiglio) che opera alle loro spalle e li protegge dall’Europa nonché dai mercati. Un tandem che non ha più date di scadenza. Sicché i partiti possono dedicarsi alle elezioni in cui tra un anno e qualche mese dovranno misurare la propria consistenza. In relativa tranquillità. A patto ovviamente di non entrare in rotta di collisione con i loro rappresentanti nel governo e con ciò che essi saranno costretti a fare di qui alla fine della legislatura. Tutto sarà un po’ più difficile nel secondo anno di Pnrr, tanto più che è finito il tempo in cui l’unico imperativo era quello di spendere.

Se dovessimo, però, individuare un appuntamento più insidioso degli altri, ci viene in mente il completamento della riforma della giustizia. Materia su cui oltretutto pende un referendum voluto da Lega e radicali. In molti hanno notato che negli scrutini precedenti all’ottavo, quelli in cui potevano esprimersi in libertà, i parlamentari hanno votato, a parte Mattarella, per due magistrati (uno ex) che in tema di giustizia hanno idee non proprio collimanti: Carlo Nordio e Nino Di Matteo. Non nomi di loro colleghi politici, ma di due campioni (togati) della trentennale contesa orribilmente denominata «tra garantisti e giustizialisti». C’erano stati, è vero, raggruppamenti che avevano dato indicazione di voto a favore di Nordio e Di Matteo. Ma per entrambi i suffragi sono stati più di quelli attesi. Vorrà dire qualcosa?

CORRIERE.IT

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