Tra fisco e pensioni ora serve la svolta

Veronica De Romanis

Dopo un’interminabile (e forse incomprensibile) settimana, le forze di maggioranza hanno trovato un accordo sul nome di Sergio Mattarella. Si torna, così, al punto di partenza: stesso Presidente della Repubblica, stesso presidente del Consiglio. Il Paese è ancora in piena emergenza sanitaria ed economica, bisogna assicurare la stabilità. Questa è la spiegazione dei leader politici. O forse, è semplicemente, l’auspicio. Le perplessità, in effetti, sono molte. Con l’avvicinarsi delle elezioni, gli obiettivi dei partiti e quelli del premier Draghi non potranno che divergere. In particolare, quelli economici. Il rischio che si apra una stagione di instabilità è concreto.

Nei prossimi mesi, Draghi dovrà portare avanti il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Un Piano costoso (prendiamo a prestito oltre 120 miliardi di euro) e ambizioso. Come ha scritto lo stesso premier nell’introduzione, attraverso i fondi europei il governo mira a “consegnare alle prossime generazioni un Paese più moderno, all’interno di un’Europa più forte e solidale”. La sfida è enorme. Basti pensare che prima della pandemia, la crescita era sostanzialmente nulla e l’Italia non aveva ancora recuperato il livello di ricchezza pro-capite di inizio secolo. Crescere, però, non basta. Bisogna farlo in modo sostenibile e inclusivo. Occorre, quindi, intervenire su chi è più penalizzato. Ossia le donne e i giovani. Poi, bisogna attuare le riforme. In tempi rapidi. “Un altro fattore che limita il potenziale di crescita dell’Italia e la relativa lentezza nella realizzazione di alcune riforme strutturali” spiega il premier sempre nel Pnrr. Da questo punto di vista, l’azione di governo è stata deludente. Non si è trovato un accordo su fisco, pensioni, concorrenza, catasto. Tutto rimandato. In nome della stabilità politica, non della crescita economica. Questo è il punto. L’accordo, invece, è stato trovato sul fronte della spesa. A debito. Spendere è diventato la panacea di tutti i mali. Si è speso tanto (oltre 20 punti percentuale di maggiore debito), si è speso per tutti. Inclusi i più abbienti. Basti pensare al bonus 110 per cento la cui applicazione è stata estesa (con l’eliminazione del tetto Isee) nonostante il premier abbia più volte dimostrato che si tratta di un provvedimento regressivo. A oggi, sono stati stanziati circa 16 miliardi di euro. Un altro esempio è quello dell’assegno universale, una misura che, come si evince dal nome stesso, distribuisce soldi in modo indiscriminato, quindi, anche a chi non ne ha bisogno seppur in misura minore. In questo caso, le risorse aggiuntive ammontano a circa 6 miliardi. Nessuno se ne preoccupa. Tanto è tutto debito buono. In realtà non è così: è un alibi formidabile. E se per caso qualcuno obietta, si risponde che si è perso il senso della misura. Il premier, invece, propone di trovare le risorse all’interno del bilancio dello Stato. Il contesto sta cambiando rapidamente: la ripresa è meno vigorosa delle attese, i tassi iniziano a salire. Tenere i conti in ordine dovrebbe essere una priorità. Una raccomandazione in questo senso è arrivata dalla Commissione europea per voce del vice-presidente Valdis Dombrovskis. L’Italia, insieme alla Lituania e la Lettonia, è tra le economie dove – secondo Dombrovskis – sarebbe necessario “ridurre il deficit e il debito” e dove gli incrementi di spesa andrebbero circoscritti a “interventi mirati e temporanei”. L’esatto contrario di quello che si sta facendo. Una finanza pubblica sostenibile ci rende meno vulnerabili nell’eventualità di shock esterni (del tutto probabili). Inoltre, rafforza la nostra posizione ai tavoli europei. A cominciare da quello in cui si discuterà la revisione delle regole fiscali. A questo proposito, è bene sottolineare che la forza negoziale di Draghi non è infinita: un debito che cresce troppo potrebbe minarla in maniera significativa.

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