Mattarella, il richiamo alla dignità

di   Massimo Franco

Sergio Mattarella ha steso una grande tenda protettiva sul Paese e le sue istituzioni. Nella sua visione, deve contenere tutti. E deve fare in modo non solo che tutti ci si trovino bene, ma che la riconoscano come propria e ne rispettino i valori con un senso di responsabilità doveroso nei confronti di un’Italia in sofferenza. Le sue parole di pacificazione nazionale hanno, per paradosso, toccato «anche» la politica. Ma si sono proiettate oltre, con una visione fortemente impregnata di valori morali. Quel Parlamento che ha ritrovato una funzione e una dignità ricorrendo in extremis al capo dello Stato uscente, spingendolo, quasi costringendolo a rimanere al Quirinale, lo ha accolto con applausi liberatori.

Era come se quei «grandi elettori» uscissero dall’incubo di una delegittimazione che le trattative maldestre di molti capi partito su chi dovesse succedergli avevano avviato verso un vicolo cieco. È stata questa prospettiva sciagurata a indurre Mattarella a dire sì a una reinvestitura che sperava di avere scansato, dopo essere passato indenne, di più, vittorioso da un settennato a dir poco difficile.

Lo ha detto subito, che accettava di caricarsi sulle spalle il peso del secondo mandato perché temeva tensioni e incertezze prolungate in modo pericoloso: tanto da poter compromettere le risorse decisive e ingenti che l’Europa ha messo a disposizione dell’Italia.

Evidentemente, la situazione negli ultimi giorni della scorsa settimana si stava avvitando in maniera imprevedibile. Poteva aprire la strada a lacerazioni politiche delle quali le tensioni seguite alla sua elezione sono conferme a posteriori. Mattarella e l’anomalia di un secondo settennato suonano come una sorta di punto fermo, di garanzia di stabilità e di antidoto contro le tentazioni di nuovi salti nel buio. Ma nelle parole pronunciate davanti al Parlamento in seduta comune non ci sono state concessioni alla «piazza» dell’antipolitica. L’insistenza sulla centralità delle Camere, la sottolineatura del ruolo fondamentale dei corpi intermedi, perfino le critiche alle logiche di appartenenza di una parte della magistratura sono sottolineature di una ortodossia costituzionale e democratica rassicuranti.

Il pantheon di Mattarella è prevedibile nella sua idea di unità, di compattezza, di rigore, e insieme di distinzione e rispetto delle competenze di ogni istituzione. Nella sua ottica la prevedibilità è una forza, una risorsa dell’Italia, e non un limite. Il compito che continua ad assegnarsi, senza neanche un solo accenno alle suggestioni di un mandato a tempo, accarezzate strumentalmente da alcuni, è di accompagnare l’Italia alla normalità. Una normalità costruita non sugli stereotipi e sulle scorciatoie, ma sulla consapevolezza dei punti deboli; e sulla determinazione a superare disuguaglianze date troppo ipocritamente per scontate e dunque «fisiologiche». Per lui, la vera modernità deve essere questa. La ripetizione con convinzione della parola «dignità» ha punteggiato il suo discorso quasi più degli applausi ricevuti.

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