Il nuovo patto per rifondare la democrazia
Certo, il Custode deve bloccare ogni violenza alla Carta, ma per custodirla davvero dovrà riconoscerne i limiti, promuovere dove occorre il suo rinnovamento e saperne indicare con forza lo spirito. Che nella nostra Costituzione mi pare sia evidentemente questo: senza corpi intermedi rappresentativi, senza che funzioni il principio di sussidiarietà, senza democratico confronto tra parti diverse, la partecipazione si fa soltanto “discutidora” e la democrazia si riduce a un gioco procedurale per costituire cartelli elettorali ed èlites occasionali. Il problema non riguarda la qualità della classe politica. Finiamola di ridurre tutto a dimensioni personali. La questione, come sempre, è di strutture e sistemi. Una carta costituzionale fissa principalmente principii generali, ovvero valori che dovrebbero mantenersi stabili nel tempo, e tutte le leggi positive dovrebbero esserne, per così dire, l’incarnazione. Qui sta il contrasto: come “stare”, come custodire “principii” nel mondo in cui il tempo subisce una accelerazione quale mai forse nella storia del nostro genere? Ora che l’emergenza è sempre più lo stato normale e qualsiasi idea di un Fine si riduce a mucchi di scopi particolari da raggiungere in breve, sempre più in breve, la forma stessa di una Norma fondamentale, di una Carta su cui giurare, può finire col sembrare un nostalgico rifugio per chi non ha forza sufficiente per vivere nella febbre dell’epoca. Quali “valori” possono valere, e cioè avere potere, nell’epoca in cui tutto diventa valutazione economica? Da qui gli stati di emergenza continui e il continuo sforzo di adattarli, più o meno felicemente, a Carte costituzionali. Qualsiasi “valore” deve essere “valutato” in base al servizio che esso offre nell’affrontare la crisi. La legge si de-forma all’inseguimento delle emergenze, dilaga la confusione tra leggi, decreti, provvedimenti, in un’inflazione di norme che è soltanto il sintomo dell’incapacità di prevedere. L’oltrepassamento del significato stesso di Costituzione è il fenomeno che viviamo, e la retorica su di essa rinvia soltanto la resa dei conti con la dura realtà.
L’elezione diretta del Presidente potrebbe rappresentare un segnale di buona innovazione della Carta? Si parla, è ovvio, di un Presidente che nomina il suo Gabinetto, che può formare governi omogenei e strategicamente orientati. Ma anche qui o si ragiona in termini di sistema o non si ragiona tout court. Se si vuole un Presidente e non un Duce, è necessario dire contestualmente il modo in cui si rafforza lo stesso Parlamento, si rafforzano Regioni e Enti locali, si promuove a tutti i livelli il principio di sussidiarietà, per cui tutto ciò che è possibile fare a livello di corpi intermedi a questo livello va deciso e fatto, semplificando ed eliminando mediazioni burocratiche e centralistiche. Dunque: riforma del Parlamento a una sola Camera e Senato delle Autonomie; macro-Regioni, che possano davvero svolgere funzioni di governo; Enti Locali messi in grado di decidere su materie che rientrano fisiologicamente nelle loro competenze, come le imposte sulla casa. E autonomia vera per scuola e università. A che altro tende una democrazia progressiva e non formale se non all’autonomia di ogni suo corpo, di ogni sua funzione? Che cosa fonda una repubblica democratica se non il foedus, il patto tra soggetti consapevoli, autonomi, che si riconoscono reciprocamente anche quando confliggono? Difficile, sì – molto più semplice andare avanti a decreti e a rinviare decisioni. Molto più facile il decisionismo della perenne indecisione. Ma il nostro Presidente ne avverte certo la malattia mortale. E saprà trovarvi rimedio. Speriamo.
LA STAMPA
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