Draghi e le riforme
C’è uno stallo, è indubbio. Tanto che a Palazzo Chigi smentiscono che si riesca a portare il testo della riforma al prossimo Consiglio dei ministri. Come altre volte, la giustizia è un tema che trasforma in pantano le trattative tra i partiti. In questo caso non c’è completa condivisione di quale sia la migliore legge elettorale per nominare i membri del Csm (il Pd è contrario al sorteggio, per esempio) e su come risolvere il problema delle porte girevoli tra magistratura e politica. Draghi vuole capire come uscirne, prima di portare il provvedimento in Cdm. Per farlo deve trovare il modo di scardinare i veti politici. È necessario un accordo blindato, per evitare altre spaccature in maggioranza o scene come quelle viste la scorsa estate sulla riforma del processo penale, quando i ministri del M5S votarono a favore e finirono sconfessati da Giuseppe Conte e dai parlamentari. Sul Csm i partiti adesso sembrano chiedere un cambio radicale, mentre Cartabia nutre diversi dubbi costituzionali sulle modifiche e per questo sente il bisogno della sponda del premier e degli altri ministri. Già a metà dicembre si era precipitata a dichiarare che il testo era pronto e nelle mani del premier, augurandosi di vederlo prima possibile sul tavolo del Cdm. Durante i vertici di governo che si sono susseguiti in un mese e mezzo, però, non c’è stata traccia della riforma del Csm. Al punto che, tra i ministri, si racconta di un certo nervosismo della Guardasigilli. E di un senso di imbarazzo di fronte ai parlamentari: il termine per la presentazione degli emendamenti è scaduto a giugno.
LA STAMPA
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