L’avvocato travolto dalle carte bollate

Annalisa Cuzzocrea

Sarà forse Nemesi, figlia dell’oceano e della notte, a perseguitare il Movimento 5 stelle. Una forza politica cresciuta nelle piazze negli ultimi quindici anni urlando, insieme al suo Vaffa, che «i partiti sono tutti morti». Lo ha ripetuto per anni Beppe Grillo, mentre la forza politica cui aveva dato vita insieme a Gianroberto Casaleggio cominciava a entrare nelle istituzioni. Lo hanno rivendicato i suoi adepti, ogni volta aggiungendo insulti verso questo o quel leader politico con cui – dicevano – non si sarebbero alleati mai.

Così, dacché le cose hanno cominciato a farsi serie, con l’ingresso nei consigli regionali, in quelli comunali, infine in Parlamento, c’è sempre stata una causa legale che chiedeva di invalidare una qualche decisione del Movimento che si faceva partito senza ammetterlo neanche con se stesso.

È toccato a Beppe Grillo, a Genova, quando decise di annullare il voto sulla candidata sindaca Marika Cassimatis semplicemente perché non era quella per cui tifavano lui e Casaleggio. Anche allora ci furono un procedimento perso e un’associazione da rifondare, per evitare di dover dare ragione a chi pretendeva di stare alle regole dello Statuto. E non all’arbitrio del capo. Ma nessuno ha imparato la lezione, sebbene l’avvocato che indice le cause per conto dei ribelli sia sempre lo stesso.

Dopo una primavera trascorsa dagli iscritti a fare Stati generali on line per decidere che alla guida del Movimento doveva esserci un comitato direttivo, gli stessi dirigenti che avevano guidato quella decisione cambiano idea. Vogliono dare le chiavi dei 5 stelle a Giuseppe Conte e solo a lui. Grillo – tra un gamberetto e una tartina sul terrazzo dell’hotel Forum – fa lo stesso. A un certo punto ci ripensa, vede troppi poteri nelle mani dell’ex premier, ma Luigi Di Maio e Roberto Fico corrono a Bibbona per calmarlo e di nuovo prevale l’arbitrio, si cancella la regola. Così non si fa, dice un tribunale a Napoli.

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