Se la politica scarica le responsabilità sulla burocrazia

Montesquieu

C’è stata anche questa, nella convulsa partita del Quirinale, non oscurata dal lieto fine: una nuova prova della difficile partita tra politica e burocrazia. La politica ama rovesciare le proprie responsabilità sulla burocrazia (tutta, dai massimi dirigenti, ai “ furbetti del cartellino”), che non ha diritto di parola. Un gioco facile, per chi ne detta le regole di condotta, ha il potere di nomina e di revoca, il tutto senza mai dover spiegare, motivare. Persino nella nomina del capo dello Stato, il “primo funzionario”dello Stato: che la confusione dei “kingmaker” nel definire il perimetro della ricerca dei candidati nasca da questa definizione? L’ultimo esempio, la candidatura di Elisabetta Belloni al Quirinale. Il ruolo di capo dello Stato riunisce il compito di esaminare, giudicare e richiamare la politica per il suo rapporto con la Costituzione; di tenere unito il Paese, di rappresentarlo, all’interno e fuori dei confini; di risolvere problemi assai complessi, quali la formazione dei governi, a partire dalla individuazione del presidente del Consiglio e di una maggioranza. Di essere terza ed equidistante tra le parti, non solo di sembrarlo. Un cumulo di funzioni che è davvero curioso pensare di addossare a chi abbia svolto mansioni amministrative, sia pure con unanimi e singolarmente diffusi riconoscimenti, come nel caso in esame.

L’idea diffusa che l’alta burocrazia stia “sotto” la politica è uno dei tanti luoghi comuni che derivano dalla convenienza, reciproca, di cercare complicità, in luogo di autonomia. E’ la storpiatura di un concetto in sé nobile, quello del primato della politica. Autonomia non nella scelta dei fini, ma nei modi per raggiungerli. Ma che la politica possa proiettare un pubblico funzionario direttamente “sopra” di sé, al vertice dello Stato, è un evento inusuale, che per alcuni attimi è stato lì per realizzarsi. Senza che ancora oggi si capisca la genesi, il quasi compimento e il declino misterioso di quella proposta. Nemmeno gli autori sono individuati.

La politica, da un lato crea, dall’altro scongiura il rischio che chi è messo (dalla politica stessa) nella condizione di conoscere tutti i segreti e i retroscena, si trasformi in un pericolo a seconda del ruolo. Che idea ha di sé la politica, in un Paese malandato, ma ancora a pieno titolo democratico?Quanto di sé deve nascondere? E che opinione ha dei propri servizi di intelligence in una democrazia, tanto da doverli temere? Perché nominare funzionari di riconosciuta qualità, prefetti e ambasciatori, e vivere nel timore che gli stessi, in altra mansione, possano diventare un pericolo? Ne scapitano, da questi interrogativi, la politica e insieme l’immagine che la stessa proietta della dirigenza amministrativa del nostro Paese. Di sicuro, solidarietà all’ambasciatrice, se vittima inconsapevole di uno dei tanti soprusi di una politica cinica e irrispettosa.

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