Referendum e Corte Costituzionale, Amato e il disagio per alcune bocciature: «Non possiamo correggere quesiti mal formulati»

di Giovanni Bianconi

Il no ai referendum su cannabis, eutanasia e responsabilità civile dei magistrati. Il presidente della Consulta assicura: nessuna scelta politica. L’inusuale spiegazione delle decisioni appena adottate

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Avessero potuto correggere qualche quesito per renderlo ammissibile, i giudici costituzionali l’avrebbero fatto. Ma non potevano. E le spiegazioni che il presidente della Corte Giuliano Amato si assume la responsabilità di dare in un’inusuale spiegazione pubblica delle decisioni appena adottate, lasciano trasparire il disagio e per certi versi persino la sofferenza nascosti dietro alcuni «no». Ad esempio sul «fine vita», su cui Amato denuncia l’uso improprio delle parole: «L’hanno dipinto come un referendum sull’eutanasia, mentre era sull’omicidio del consenziente, e formulato in modo da estendersi a situazioni del tutto diverse da quelle per cui pensiamo possa applicarsi l’eutanasia. Un risultato costituzionalmente inammissibile».

Fuori dall’antico palazzo della Consulta fioriscono già le polemiche e le accuse alla Corte, ma dentro, dopo due giorni di intenso lavoro, i giudici restano convinti di non aver avuto alcuna preclusione politica. Tutt’altro. L’invito a non cercare il «pelo nell’uovo» — a sua volta non una scelta politica, bensì di non contrastare quanto prescritto dalla Costituzione, precisa il presidente — era un sincero segnale di apertura. Ma senza andare oltre il consentito: «Non possiamo correggere quesiti mal formulati».

E dunque, sull’omicidio di una vittima consenziente, qualora al referendum così come architettato dai promotori avessero prevalso i «sì», si sarebbe arrivati alla non punibilità di chi aiutasse un ragazzo maggiorenne depresso, «magari un po’ ubriaco», che chiedesse di essere ucciso. «Tutto questo non ha nulla a che fare con i casi in cui ci si aspetta la non punibilità dell’eutanasia, né con le sofferenze dei malati che aspettavano una decisione diversa», chiarisce Amato, lasciando trasparire molta amarezza. Del resto la Corte ha dimostrato una certa sensibilità su questa materia, dichiarando incostituzionale, in alcune circostanze, la punibilità del suicidio assistito. In quel caso i giudici, consapevoli delle implicazioni etiche e valoriali, avevano dato al Parlamento il tempo per legiferare, ma alla scadenza del periodo concesso non hanno esitato a cancellare la norma.

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