L’aut aut di Draghi: “Adesso o il Parlamento ci segue o dovrete trovarvi un altro esecutivo”

L’esultanza dell’ex ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina certifica lo scollamento tra governo e Camere. La tensione è altissima. I relatori al testo più volte votano in maniera differente. I deputati Igor Iezzi della Lega e Ubaldo Pagano del Pd arrivano a un millimetro dal contatto fisico. Erano giorni che il ministro dei Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà avvertiva Draghi: «Sento un nervosismo che non mi piace». Anche per questo, durante le votazioni, si è tenuto in contatto costantemente con i ministeri e ha chiesto riunioni continue assieme ai tecnici ministeriali. Non è bastato.

Lo stesso D’Incà finisce nel mirino dei partiti: succede quando i capidelegazione chiedono al presidente del Consiglio di «cambiare metodo». È la ministra di Forza Italia Mariastella Gelmini a riportare le lamentale dei parlamentari, e a puntare il dito contro la cinghia di trasmissione tra governo e Camere. I presenti raccontano «la frustrazione» di deputati e senatori, costretti da quattro anni a firmare decreti che nemmeno conoscono. «Gli incidenti succedono e purtroppo di ripeteranno». I capidelegazione sentono anche la propria impotenza sui parlamentari, suggeriscono al premier di chiamare più spesso i capigruppo. Ma Draghi respinge quest’approccio e ricorda le settimane precedenti alla manovra, il coinvolgimento dei capigruppo, delle forze politiche, delle parti sociali. Gli attacchi al governo e i distinguo, dice, sono arrivati comunque.

L’ex banchiere non era mai stato così esplicito con tutti partiti di maggioranza presenti. Qualcosa inevitabilmente si è rotto nella settimana del redde rationem quirinalizio. Le ambizioni di Draghi si sono infrante contro il muro della diffidenza dei parlamentari. Il Parlamento non lo segue più. Deputati e senatori puntualizzano su tutto, difendono i fortini identitari, sono sordi all’appello del premier che chiede «più realismo e meno idealismo». Draghi sa bene che le bocciature di queste ore sono solo un segnale. Pretende che i testi votati all’unanimità dai ministri non vengano stravolti. E invece vede i leader annunciare modifiche un minuto dopo il Cdm (Matteo Salvini) o festeggiare per aver sconfitto il governo (Giuseppe Conte sulle bonifiche dell’Ilva). Il ministro del Lavoro Andrea Orlando prova a ricordargli che il Pd ha sempre sostenuto con lealtà le decisioni senza sconfessarle in Parlamento, come fa la Lega, eppure il voto dei democratici su Taranto è andato nella direzione contraria. In questo complicato equilibrio il segretario Enrico Letta definisce «grave» quanto accaduto alla Camera, dice che Draghi ha fatto bene «a richiamare tutti alla serietà» ma evoca anche un «nuovo metodo» per evitare altri incidenti. Il premier sa bene cosa potrà accadere ancora sui balneari, sulla riforma del Csm, sul catasto contenuto nella delega fiscale. Sarà sempre peggio, temono a Palazzo Chigi, senza più minimizzare gli scontri ed evocando la possibilità di un addio del premier e di una crisi. Anche tra i ministri le elezioni anticipate – a giugno – non suonano più come un’eventualità remota.

LA STAMPA

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