Medici di base in crisi dopo la pandemia, sanità senza assistenza

Paolo Russo

ROMA. Nell’agosto del 2019 il numero 2 della Lega, Giancarlo Giorgetti, la Caporetto dell’assistenza domiciliare dell’annus horribilis 2020 l’aveva a modo suo preannunciata, quando scatenando le ire dei diretti interessati disse: «Nei prossimi cinque anni mancheranno 45 mila medici di base, è vero. Ma chi va più da loro? Oggi nel mio paese vanno a farsi fare la ricetta, ma chi ha meno di 50 anni va su internet a cercarsi lo specialista. Il mondo in cui ci si fidava del medico di famiglia, quella roba lì, è finita». Parole coerenti con quello che proprio il Carroccio ha perseguito nei sui numerosi anni di governo della Lombardia, dove si è puntato forte sui super ospedali e poco sul territorio. Finendo per far travolgere il sistema sanitario lombardo dall’urto della prima ondata di Covid. Ma «quella roba lì», la prima trincea sanitaria dell’assistenza territoriale, alla lunga ha finito per essere spazzata via anche altrove. A dirlo sono i morti. In base all’andamento dei cinque anni precedenti, nel 2020 in Italia si sarebbero dovuti contare 645 mila decessi, ai quali sommare i 74 mila accertati per Covid dalla Protezione civile, per un totale di 719 mila. Alla fine ne risultarono 22 mila in più. Morti di altro? Difficile, visto che la mortalità per incidenti crollò con il lockdown, così come quella per malattie infettive varie. Secondo gli epidemiologi quelle morti occulte sono invece da attribuire al Covid. Persone decedute a casa senza assistenza e quindi nemmeno una diagnosi. Perché i medici di famiglia, senza protezioni e senza un minimo di coordinamento con chi ne sapeva più di loro negli ospedali, se ne rimasero asserragliati nei loro studi deserti. E chi invece andò ad affrontare il virus a mani nude pagò con la vita il proprio coraggio.

Ma anche in seguito, nell’era dei vaccini, il loro ruolo è rimasto sempre marginale. Basti ricordare quando nel 2021 si tentò di coinvolgerli a dare una mano con i tamponi. «Non abbiamo gli studi attrezzati per farli», fu il muro di gomma alzato dal potente sindacato di categoria, la Fimmg. Eppure per l’assistenza territoriale le Regioni schierano un esercito che non è da meno di quello in forza negli ospedali: 42 mila medici di famiglia, 7.400 pediatri di libera scelta, oltre 17 mila medici di continuità assistenziale (le ex guardie mediche), 2.900 medici di assistenza territoriale, altri 1.600 nella medicina dei servizi. In totale 72 mila camici bianchi, con la sicurezza dello stipendio fisso ma senza i vincoli dei dipendenti perché liberi professionisti in convenzione. Quella che ai medici di famiglia con 1.500 pazienti a carico consente di tenere aperti gli studi per 15 ore settimanali, quando la maggioranza dei loro colleghi ospedalieri, oberati di lavoro, ne fa 48.

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