Draghi e il fantasma del Mes

Ilario Lombardo

ROMA. Sta per tornare in scena il Mes. E sarà un altro fronte parlamentare bollente, un altro test di tenuta per la maggioranza di governo, un’altra sfida ai nervi di Mario Draghi. Qualche giorno fa, al Tesoro, Daniele Franco si lamentava delle difficoltà che l’esecutivo incontrerà alle Camere sul Fondo creato per soccorrere i Paesi europei in crisi. Sono mesi che il ministro dell’Economia sostiene che va ratificato al più presto. L’Unione europea si attendeva il via libera parlamentare alle modifiche del trattato che regola il Meccanismo europeo di stabilità entro il 2021. Era stato il governo italiano, prima con Giuseppe Conte, poi con Draghi, a impegnarsi in tal senso. E invece: in Parlamento sembra facciano gli scongiuri per rimandare ancora la firma che tribalizzerà nuovamente i gruppi.

Ma il tempo sta scadendo. E Draghi ha un motivo in più per spingere sulla rapida approvazione. Il Patto di Stabilità. Il piano per riformarlo prima del gennaio 2023, proposto assieme a Emmanuel Macron con un articolo co-firmato sul Financial Times, sarà al centro del vertice europeo di Parigi l’11 e 12 marzo. L’ideale, per Draghi, sarebbe arrivare a quell’appuntamento almeno con una votazione positiva in commissione Esteri, un traguardo che aiuterebbe il presidente francese a incardinare – come spera – una prima revisione dei vincoli su deficit e debito entro il semestre europeo a sua guida. L’ok del Parlamento italiano sarà utile in fase di trattativa, secondo il premier. Primo, perché alleggerirebbe gli sguardi sospettosi dei falchi tedeschi e del nord Europa, poco propensi a fare concessioni all’Italia. Secondo, nel nuovo Patto, immaginato in un paper pubblicato da Francesco Giavazzi e Charles-Henri Weymuller, consiglieri economici di Draghi e Macron, il Mes tornerebbe a nuova vita come «agenzia europea per la gestione del debito», e in particolare avrebbe il compito di smaltire quello accumulato lungo tutta la pandemia.

Il prossimo fine settimana il ministro Franco ritroverà a Parigi i colleghi europei all’Ecofin e qualcuno di loro è prevedibile tornerà a chiedergli dove l’Italia abbia smarrito il Fondo salva-Stati. Come è avvenuto un mese fa, durante l’ultimo vertice, quando il presidente dell’Eurogruppo, Paschal Donohoe, e il direttore del Fondo salva Stati, Klaus Regling, gli hanno domandato lumi sui ritardi. Erano i giorni subito precedenti alla settimana del rodeo quirinalizio. A Roma e a Bruxelles tutti sanno cosa è successo. Il Mes, detonatore di infinite liti in questa legislatura, non è arrivato in Parlamento prima che Draghi si giocasse le sue chance per il Colle. Come altri dossier delicati e politicamente esplosivi è stato rinviato a dopo le elezioni.

Per questo, ora, Franco ha necessità di accelerare, e pure Draghi chiede di chiudere presto con la ratifica. È parte del pacchetto di impegni presi con l’Ue che il premier intende rispettare. La Germania attende per marzo la sentenza sul Mes della Corte costituzionale: una volta che i giudici di Karlshruhe si saranno pronunciati, l’Italia sarà il solo Paese membro a non aver votato per confermare le modifiche. Passata la partita sul Quirinale, però, non ci sono più scuse agli occhi di Bruxelles. Non ha nemmeno senso che si attenda la Consulta tedesca. Non sarà una passeggiata, ovviamente. Ed è il grande timore di Franco e di Draghi: nel lungo elenco di norme, riforme e testi del governo che i parlamentari a vario grado contrastano o puntano a stravolgere, il Mes rappresenta una delle fonti di preoccupazione più grandi, perché potrebbe risvegliare gli istinti sovranisti più radicali della Lega e, in parte, del M5S. Matteo Salvini potrebbe ritrovarsi con Giorgia Meloni nella battaglia anti-europea, contro l’odiatissimo Fondo.

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