Putin ci segnala un problema, le tirannie amano sé stesse più di quanto noi amiamo le democrazie

di  Mattia Feltri

Per comprendere la Russia di oggi bisogna guardare alla Russia di ieri, al modo di Michael McFaul, ex consigliere per la sicurezza nazionale alla Casa Bianca e poi ambasciatore americano a Mosca. In un’intervista concessa al Corriere della Sera, McFaul parla delle rivoluzioni colorate, nel 2003 in Georgia, nel 2004 e nel 2013-14 in Ucraina, anche le primavere arabe del 2011, moti di liberazione dalle autocrazie – o piene tirannie – imputate da Vladimir Putin alle trame occidentali per espandere la democrazia con la frode. Putin non usa la lingua della dissimulazione. A dicembre aveva offerto il romanticismo della sua biografia, l’essersi riciclato da tassista dopo il dissolvimento dell’Unione sovietica, di cui era stato un capintesta del Kgb: sulla sua pelle l’immagine del tracollo di un impero e di un popolo. La più grande tragedia del XX secolo, disse, anzi ripeté per la centesima volta.

Torniamo a McFaul. La più grande paura di Putin, dice, è un’Unione europea fiorente e l’Ucraina attratta dal mondo libero, a smentire la sua lettura panslavista, ovvero di una Russia indispensabile grande madre al cui focolare si nutrono, per ragioni storiche, etniche, sociali, i popoli russofoni e no di Estonia, Lituania, Lettonia, Ucraina, Georgia, Moldavia, Bielorussia, Armenia e poi Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan, Kirghizistan, Azerbaijan. Un risorgimento dell’Unione sovietica ma si può guardare ancora più indietro, allo scoppio della Prima guerra mondiale, quando la Russia non ancora bolscevica accorse in sostegno alla Serbia minacciata dall’Impero austroungarico dopo l’assassinio di Francesco Ferdinando a Sarajevo. Era panslavismo allora ed è panslavismo adesso.

Credere che la storia si fermi con un armistizio o con il tracollo di un impero è errore commesso sovente e sempre pagato. Dal 1991, racconta spesso Putin, non abbastanza soddisfatte di avere demolito l’Unione sovietica, le democrazie occidentali brigarono per dissolvere la Russia, sostenendo separatisti e terroristi, cioè i nemici interni di Mosca. Noi troviamo fra l’incomprensibile e il ricolo che Putin oggi parli di genocidio, come ha scritto qui Giulia Belardelli, ma nella sua cinica strategia, o irrimediabile psicosi, è perfettamente logico: è la mortale sfida dell’Occidente alla sopravvivenza della Russia e al suo ruolo storico di cuore del panslavismo

Se tutto questo si tradurrà in guerra lo vedremo, ma fa impressione la leggerezza con cui qui da noi si affronta la questione, perlomeno da parte di leadership politiche incapaci di guardare oltre il giardino di casa e oltre gli effetti delle loro parole nella successiva mezzora.

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