Calenda vuole il campo tosto, non largo. E lancia un amo ai 5s normalizzati
Dunque, il passettino in più richiesto da Letta ieri al congresso pare ci sia stato, dalle parole televisive di Calenda. Che al congresso invece si era mantenuto un filo più ortodosso, neppure rigettando in toto le accuse arrivate da Conte di essere un “arrogante” e di volere “un’accozzaglia”, bensì andando oltre. “Ha ragione: questo campo largo è un’accozzaglia, io non ho niente contro Conte, ma solo un modo diverso di vedere il governo”. Poi, tanto per sfogare quel surplus di carica ormonale, qualche ventaglio di critiche a largo raggio, con ironia e non: da Letta e “le sue iniziative con la Meloni che sembravano Sandra e Raimondo” a Renzi, “che ritengo essere il migliore presidente del Consiglio dai tempi di De Gasperi, ma cui dico che staremo assieme, ma non è pensabile che tu sia pagato da uno Stato straniero, decidi se vuoi fare politica o business…”. Critiche anche al sindacato “prono al populismo dei Cinquestelle”, però la politica “non è distribuire bonus in modo che nessuno debba pagare e lavorare”.
Sarà così alla fine Calenda, il “federatore” dei tanti che non vedono l’ora di un “partito di Draghi-senza Draghi”? Lui si schermisce ancora un po’, è abituato a lavorare centimetro dopo centimetro e poi “non farei mai questo a Draghi”, scherza. Al premier fornisce il consiglio non richiesto (e assai retorico) di “far diventare popolari le scelte giuste” e di non sottovalutare o mortificare il ruolo dei partiti in Parlamento. ”Ci riconosciamo in quel percorso di riformismo, e se posso fare una critica a Draghi è questo dismissing della politica da parte sua: ho grande rispetto per il lavoro che sta facendo, quello che gli dico è che bisogna avere grande rispetto per la politica”. L’uomo è abituato ai talk televisivi e si vede. Sfodera pure, almeno nei fondamentali, culture politiche ormai dimenticate dai più. E poi ha tigna, come si dice a Roma: guai a sottovalutarlo.
L’HUFFPOST
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