Ucraina, Vlad il Terribile passa il Rubicone: l’obiettivo è ricostruire l’Urss

Anna Zafesova

Chi si chiedeva in queste ore, questi mesi, questi anni, cosa avesse in mente Vladimir Putin, è stato finalmente accontentato. Il presidente russo non ha risparmiato tempo, ieri, a esporre la sua visione del mondo, della storia e delle relazioni internazionali, che va ben oltre due lembi di territorio che vuole strappare a Kiev, tornando indietro al 1991, e perfino al 1917. Non sono i missili Nato, o il «genocidio» dei russofoni che è in corso soltanto sui canali televisivi della propaganda russa. Il padrone del Cremlino mette insieme, in una narrazione confusa, la storia (imparata dai manuali sovietici) e i rapporti di intelligence, per provare a dimostrare che l’Ucraina «non ha mai avuto una statalità», e che non le riconosce alcuna dignità e autonomia, né legale, né economica, né culturale. Una «creazione di Lenin», dice Putin, con quel livore che riserva al fondatore dell’Urss ormai da anni, e poi promette di «far vedere la vera decomunistizzazione» a Kiev. Una minaccia che, tradotta, significa: non avete nulla di vostro, tutto quello che siete è un regalo dell’Unione Sovietica, che a sua volta è una creazione illegale dei comunisti, una mutilazione internazionalista del glorioso impero russo.

È un discorso di delegittimazione di tutto lo spazio post-sovietico, e mentre è in corso l’annessione strisciante della Bielorussia già occupata dalle truppe russe, il messaggio giunge in tutte le altre capitali, incluse quelle baltiche ormai parte dell’Ue. Tutto quello che bolliva da anni nella pentola della propaganda, dei guru «geopolitici», dei deputati più oltranzisti della Duma e dei commentatori più sfacciati dei talk show, dei predicatori dell’ortodossia della Santa Rus’ e dei militaristi più nostalgici dell’Armata Rossa, tutta quell’ideologia revanscista e nazionalista della quale Putin spesso si presentava come il volto umano – facendo capire all’Occidente come ai russi moderati che se non si vuole avere a che fare con lui, toccherà trattare con interlocutori molto più rudi – è stata riversata dal teleschermo. C’era dentro tutto, dai soldi spesi dall’ambasciata americana per finanziare i manifestanti che chiedevano l’Europa sul Maidan di Kiev fino all’ormai classico «golpe» del 2014 che avrebbe reso definitivamente illegittimo il governo ucraino, per concludere con il piano dell’Occidente di «fermare lo sviluppo della Russia» a colpi di sanzioni.

Dopo anni di interrogativi sul grado di razionalità del Cremlino, la risposta viene fornita dallo stesso Putin, che dichiara di credere alla sua propaganda, in un mix di nostalgia sovietica, rimpianto per una grandeur imperiale e paranoia dell’accerchiamento. «Vlad il Pazzo», come l’ha definito qualche giorno fa il Financial Times, ha prevalso sul «maestro di scacchi» esaltato per anni dai commentatori non solo russi. Il livore dedicato all’Ucraina, con la recitazione ossessiva della lista infinita dei suoi difetti – alcuni dei quali sembrano essere semmai caratteristici della Russia, come la corruzione, la «mancanza di democrazia» e «l’assenza di tribunali indipendenti» – appare alimentato da un odio quasi passionale, come quello che si prova verso un’ex fidanzata felice con il nuovo compagno. Non è una critica, è un tentativo di demolizione, e il problema non è più l’annessione di fatto di territori già praticamente occupati dai russi da otto anni: è una dichiarazione di guerra all’Ucraina, e a tutti gli ex Stati sovietici che pensano di poter avvicinarsi all’Europa e alla Nato.

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