La linea rossa di Draghi

ILARIO LOMBARDO

Alla fine, il peggio è stato evitato: la modifica che puntava ad abolire il Green Pass non è passata e questo fa tirare un sospiro di sollievo a Mario Draghi. Ma è l’ennesimo scricchiolio su una barca che potrebbe non reggere più a lungo. Il premier ha preferito non commentare, anche per non dare troppo seguito alle polemiche, tanto più mentre una guerra rischia di trascinare l’Europa nell’incertezza di un’altra crisi. Ma certo non gli ha fatto piacere lo strappo della Lega, per i modi e i tempi. Perché il certificato verde è il simbolo di questi mesi di lotta al Covid, e poi perché aveva fatto sapere ai leader che anche il suo orientamento personale è comunque quello di superare le restrizioni e di predisporre un provvedimento per iniziare l’uscita graduale dai vincoli, dal 31 marzo in poi, già nelle prossime due settimane. Negli scorsi giorni aveva condiviso il piano anche con il presidente del M5S Giuseppe Conte, con il quale ha riparlato di nuovo ieri e dovrebbe vedersi a breve. Ma la questione del rapporto tra governo e parlamentari, è chiaro anche a Draghi, non è più sul singolo provvedimento. È ormai l’atteggiamento dei leader, l’attitudine dei partiti, la virata elettorale che stanno prendendo gli ultimi mesi di legislatura, a restringere il perimetro dentro il quale l’ex presidente della Banca centrale europea riesce ancora a imporre la forza delle proprie decisioni.

C’è però «una linea rossa» – così la definiscono fonti di Palazzo Chigi – che Draghi non permetterà venga oltrepassata. Sono le riforme che incardinano il Piano nazionale di ripresa e resilienza e sono cruciali per ottenere i soldi europei. Su questo, ancora ieri, il premier si è mostrato categorico con i ministri e i collaboratori: «Gli impegni che abbiamo preso con l’Europa vanno rispettati». I paletti sono chiari e sono la riforma della giustizia, della concorrenza, degli appalti. Anche se considerata meno vincolante per le richieste dell’Ue, nel pacchetto rientrerebbe pure la delega fiscale, che Draghi considera molto importante ma che è ferma in commissione alla Camera. Come aveva già detto ai capidelegazione di maggioranza, nella sfuriata di giovedì, dopo che l’esecutivo era andato sotto su quattro emendamenti del decreto Milleproroghe, «il governo è stato chiamato per fare determinate cose». Se la missione fallisce, questo governo non ha più ragione di esistere agli occhi del presidente del Consiglio.

A differenza di quanto accaduto quattro giorni fa, però, questa volta Draghi ha evitato di drammatizzare ulteriormente la scelta, legittima, di un voto che ha l’effetto di spezzare la maggioranza e di rimettere in discussione le decisioni dell’esecutivo. Primo, perché l’esito finale in commissione ha salvato il Green Pass; secondo, perché è un modo dimostrare alle Camere di non voler soffocare lo spazio di agibilità che anche Silvio Berlusconi, domenica sera al telefono, gli ha consigliato di lasciare ai partiti quando sono in discussione norme più identitarie, che non compromettono il lavoro sulla pandemia e sulle riforme del Pnrr. Per il leader di Forza Italia si trattava di mandare un messaggio sul limite al contante, che il centrodestra ha riportato a duemila euro. Per altri, vedi il M5S, potrebbero essere i fondi per rifinanziare la Tav Torino-Lione.

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