Governo, il rischio delle sabbie mobili
di Stefano Folli
Scandito dagli incidenti parlamentari e sottolineato dai retroscena giornalistici, il secondo tempo del governo Draghi, cominciato nel momento in cui Mattarella si è reinsediato al Quirinale, è un percorso tormentato. Nulla di ciò che accade risponde a un disegno politico destabilizzante. Non c’è la volontà di provocare la caduta dell’esecutivo, oltretutto con l’inflazione che corre e la guerra in Ucraina tutt’altro che scongiurata. Ma un certo logoramento quotidiano è nelle cose, figlio delle contraddizioni di una maggioranza troppo larga ed eterogenea per durare nell’anno pre-elettorale senza un vero cemento politico e una convinta leadership. Entro certi limiti, esiste l’istituto della fiducia parlamentare – come sul decreto Milleproroghe – ma è un salvagente di cui non si può abusare.
Sta di fatto che l’ultimo tratto della legislatura sembra interminabile. Per apparire meno lungo dovrebbe essere sorretto da un’idea ambiziosa, una prospettiva convergente sulle riforme da attuare anche grazie ai famosi fondi europei. A parole nessuno nega che questa sia la strada da seguire, l’unica per la quale vale la pena di avere Mario Draghi a Palazzo Chigi; nei fatti non si sfugge alla sensazione di trovarsi su un banco di sabbie mobili. L’eterno immobilismo che alla fine prevale, inghiottendo formule politiche e buone intenzioni. Non è detto, s’intende, che accada anche stavolta.
Quasi tutto quel che è successo da un anno a questa parte è infatti senza precedenti. La stessa chiamata di Draghi non è paragonabile agli altri “governi del presidente” sperimentati negli ultimi trent’anni. Come non lo è la durata dell’esecutivo di salute pubblica, nato per offrire garanzie all’Unione sul buon uso dei finanziamenti: in quanto governo “d’emergenza” è in carica da un anno e dovrebbe accompagnare il Paese fino al voto politico del ’23. Alla fine un arco temporale di oltre un biennio che richiederebbe qualcosa di più di un patto imposto dalle circostanze e sottoscritto con varie riserve mentali.
In Germania i governi di unità nazionale, quando servono, hanno una vita ben più lunga, ma sono sempre il prodotto di trattative serrate e di accordi definiti. Forse si è ancora in tempo per realizzare qualcosa di simile in Italia. Un’intesa rinnovata con precisi obiettivi e priorità, in cui ogni forza politica, da destra a sinistra, trova conveniente condividere un tratto di strada nonostante la campagna elettorale alle porte.
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