L’attacco a Kiev, la libertà fa paura
di Ernesto Galli della Loggia |
Come
mai l’effettiva e ormai antica partecipazione alla Nato dei Paesi
baltici, della Estonia, della Lituania e della Lettonia, tutti Paesi
confinanti con la Russia e con contingenti di truppe Nato presenti da
tempo nel loro territorio, non ha mai suscitato l’ira funesta
dell’Imperatore del Nord e la sua minaccia alla loro indipendenza?
Come
mai la suscettibilità nazionale del despota moscovita non ha mai
mostrato eccessiva preoccupazione per il fatto che la Polonia — membro
anch’essa della Nato e confinante anch’essa con la russa Kaliningrad —
potrebbe, se volesse, sbriciolare in poche ore con un opportuno lancio di semplici missili da crociera la base della flotta russa del Baltico?
E come mai invece la semplice, del tutto remota, ipotetica, eventualità
che l’Ucraina aderisse alla medesima Nato lo ha spinto addirittura a
replicare contro Kiev un Blitzkrieg di schietto stampo hitleriano?
C’è una sola risposta possibile a queste domande, ed è che molto probabilmente nell’azione militare di Putin l’ipotetica adesione di Kiev alla Nato non c’entra nulla,
al contrario di quanto cercano di far credere i filoputiniani di casa
nostra per i quali in un modo o nell’altro la colpa di qualunque cosa di
brutto succede nel mondo è sempre degli Stati Uniti e dei loro alleati,
cioè dell’Occidente.
In realtà l’Ucraina andava rimessa in riga
e sottoposta al trattamento Ungheria ’56 e Praga ’68 perché agli occhi
di Putin rappresentava sì un pericolo, ma non un pericolo militare in
quanto presunto avamposto del «nemico secolare», bensì il pericolo di un contagio. Del contagio della libertà.
Nel trentennio della sua indipendenza l’Ucraina si é
mostrata innanzi tutto capace, a differenza della Russia, di fare i
conti con la realtà del passato comunista. Un passato — bisogna
ricordarlo — che per lei ha principalmente voluto dire negli anni Trenta
una feroce collettivizzazione della terra e
il conseguente massacro premeditato di due-tre milioni di persone per
decisione presa a Mosca dal potere sovietico. Non basta. La società
ucraina, priva dell’ombroso sospetto verso l’Occidente che ha sempre
dominato il sentire comune dei russi, è stata anzi aperta alle sue
molteplici influenze attraverso la Polonia a nord e a sud attraverso la
grande metropoli marittima di Odessa e la sua vivacissima vita
intellettuale: influenze tradizionalmente percorse e innervate, in
entrambi i casi, dal multiforme fermento di una vasta presenza ebraica.
Ad rendere ancora più vario e mobile un tale panorama, ben diverso da
quello della Russia profonda, una tradizione religiosa frastagliata che
accanto al Cristianesimo ortodosso ha visto da sempre il cattolicesimo
uniate, forte di alcuni milioni di fedeli e più recentemente un milione
circa di protestanti.
È questo sfondo storico, questa vitalità sociale, che spiegano la
capacità dell’Ucraina di uscire in modo relativamente positivo dalla
cappa di piombo dell’economia statalista del periodo sovietico.
Di avviare quindi uno sviluppo, che aiutato non da ultimo da un poderoso
flusso di rimesse dei suoi numerosi emigranti, le ha consentito pur tra
gli alti e bassi del ciclo mondiale di conseguire traguardi di crescita
anche industriale non indifferenti, ad esempio nel settore
aerospaziale. Ma non solo: è lo sfondo storico di cui ho detto che le ha
consentito soprattutto di riuscire a stabilire un regime passabilmente
democratico dopo essersi liberata dei tentativi di Mosca di imporre a
Kiev il suo protettorato.
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