L’attacco a Kiev, la libertà fa paura
L’Ucraina insomma è un grande Paese, un cuore del mondo slavo, anzi in certo senso una sua matrice prima (si ricordi che fu a Kiev che per la prima volta il Cristianesimo giunse in Russia), cha attraverso mille difficoltà ha dimostrato però di saper gettarsi alle spalle il passato comunista e di voler intraprendere un cammino che la porti a ricongiungersi con l’Europa democratica. È precisamente questo che a Putin e all’oligarchia postsovietica appare intollerabile, da cancellare in ogni modo. È l’esempio infatti di una parte del mondo che per tanto tempo è stato russo, che ha avuto un ruolo essenziale nella cultura russa, ha fatto parte della statualità russa sfociata nel comunismo, ma che tuttavia ha rifiutato il vincolo e il lascito di quel passato. Ha rifiutato i sogni legati a quel passato che invece ancora ossessionano la mente del padrone del Cremlino. Ha rifiutato di sottostare al fascino delle pagine di grandezza che pure vi sono iscritte (ad esempio le pagine della «grande guerra patriottica»), del loro ricordo, se il prezzo doveva essere quello di restare una società economicamente arretrata governata da un despota e da una cerchia di lestofanti suoi amici.
La storia della Nato è un puro pretesto. L’Ucraina attuale va spenta perché dà il cattivo esempio, perché Putin deve dimostrare alla sua opinione pubblica che l’unico destino possibile per la Russia è quello che lui incarna. Che dopo il comunismo la storia della Russia non prevede che possa esserci la libertà.
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