Madre Russia, semi dell’odio e nuovi doveri a Occidente
Io non credo che finirà così. Siamo in un vicolo cieco. Putin può solo vincere, perché altrimenti gli oligarchi non glielo perdoneranno. L’Occidente non può perdere, perché altrimenti nel già precario Ordine Mondiale si innescherebbe un effetto-domino pericolosissimo. L’invasione dell’Ucraina è l’atto finale di incoscienza umana e delinquenza politica di uno Zar senza impero, sempre più in affanno nella “democratura” che comanda da oltre vent’anni con un metodo di governo pre-totalitario: petrodollari e fondi neri per la nomenklatura, galera e polonio per i dissidenti. Ma le colpe di “Vlad the Mad” non cancellano le nostre. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica non abbiamo voluto vedere né capire cosa stava covando sotto le macerie del Muro. Abbiamo fatto con la Russia gli stessi errori che facemmo con la Germania dopo la Prima Guerra Mondiale, denunciati nel 1919 da Keynes in un saggio magistrale che profetizzò la Seconda: “Le conseguenze economiche della pace”. Questo, ad essere onesti, non lo dicono gli improbabili “putinisti” della destra italiana, ammaliati solo dall’uomo forte e dal rublo facile.
Lo ha spiegato Henry Kissinger sul Washington Post, nel marzo 2014, all’indomani della seconda Rivoluzione arancione di Piazza Maidan e prima dell’annessione russa della Crimea. «L’Occidente – scriveva l’ex segretario di Stato Usa – deve capire che per la Russia l’Ucraina non potrà mai essere soltanto un Paese straniero. La storia russa ebbe inizio in quella che fu denominata la Rus’ di Kiev: da lì si diffuse la religione russa. L’Ucraina fa parte della Russia da secoli e le loro storie erano intrecciate ancora prima. L’Unione europea deve riconoscere che il suo torpore burocratico e l’aver sempre subordinato l’elemento strategico alla politica interna quando negoziava le relazioni dell’Ucraina con l’Europa hanno contribuito a trasformare una trattativa in una crisi… Per l’Occidente esecrare Putin non è una politica: è un alibi per l’assenza di una politica… Putin dovrebbe rendersi conto che, quali che siano le sue rimostranze, una politica di imposizioni militari scatenerebbe un’altra Guerra Fredda. Dal canto loro, gli Stati Uniti devono evitare di trattare la Russia come un’anomalia a cui vadano pazientemente insegnate le regole comportamentali fissate da Washington… Se non si troverà una soluzione, la deriva verso uno scontro aperto vero e proprio non farà che accelerare. Quel momento potrebbe non tardare molto».
Sono passati otto anni esatti, e quel disastroso “momento” previsto da Kissinger è infine arrivato. Ora sembra tardi per qualunque soluzione e qualunque mediazione. A meno che non compia il miracolo Papa Francesco, o non faccia il Grande Gesto la Cina, che è il primo partner commerciale dell’Ucraina e che all’Onu, pur esprimendo “comprensione” per le ragioni di Mosca, non ha votato la condanna dell’invasione russa. Segnali interessanti, ma ancora troppo difficili da decifrare.
Non sappiamo cosa resterà, di tutto questo orrore che torna. In uno dei tanti video rilanciati dal web in queste ore si vede una scena incredibile. Siamo a una trentina di chilometri dalla foce del Dnipro, sul Mar Nero. La cittadina è Cherson, altro luogo-simbolo del Secolo del ferro e del sangue. Nel 1778 la fondò il Maresciallo Potemkin, nel 1905 fu teatro del primo pogrom in piena Rivoluzione russa, nel 1941 fu la tomba di 8 mila ebrei sterminati in una fossa anticarro dalle Einsatzgruppen naziste. Adesso, a pochi metri dal fiume, un’anziana donna infagottata nel suo cappotto avanza tra la neve verso un gruppo di soldati russi armati fino ai denti. Non ha niente da perdere, se non tutto quello che hanno già perso i suoi avi. Urla: «Chi siete? Cosa fate? Siete fascisti!». Poi si avvicina al più giovane, gli porge la mano e dice: «Prendi questi semi di girasole… Tienili in tasca, così quando morirai cresceranno fiori». Questo resta, oggi come ieri: l’Europa che si prepara a mietere i suoi raccolti dell’odio.
LA STAMPA
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