L’equilibrismo interessato di Pechino. Difesa degli affari e un occhio a Taiwan

Daniel Mosseri

Un attacco russo contro l’Ucraina era nell’aria da settimane, se non da mesi. In molti si aspettavano però un attacco russo limitato al Donbass secessionista, regione che i russi avrebbero strappato all’Ucraina così come avevano fatto nel 2014 con la Crimea. L’attacco a tenaglia scatenato da Vladimir Putin contro tutto il territorio dell’ex Repubblica sovietica è stato considerato molto audace e sebbene il capo del Cremlino sia padrone assoluto in Russia (e in Bielorussia), neppure lui può muoversi su un fronte (quello occidentale) senza assicurarsi sull’altro (quello orientale). E qui entra in gioco l’altra superpotenza: la Cina di Xi Jinping. Abituate a non ostacolarsi l’una con l’altra in ambito Onu e legate da un interscambio commerciale sempre crescente, anche in questo caso Mosca e Pechino hanno fatto attenzione e non mettersi i bastoni fra le ruote. All’inizio delle ostilità i portavoce della Repubblica popolare cinese si sono dunque ben guardati dal definire l’operazione militare russa «un’invasione». Allo stesso modo Pechino tiene una posizione defilata sulle sanzioni economiche e finanziarie che l’Occidente, Svizzera inclusa, stanno adottando per fiaccare lo sforzo bellico di Mosca. «Cina e Russia continueranno la normale cooperazione commerciale nello spirito del rispetto reciproco, dell’uguaglianza e del reciproco vantaggio». Così il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin ha ribadito come la Cina si opponga all’uso di sanzioni per risolvere i problemi «ed è ancor più contraria alle sanzioni unilaterali che non hanno basi nel diritto internazionale». La circostanza che non siano state votate dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu rende le sanzioni antirusse irricevibili. E poco importa se Cina e Russia dispongono (al pari di Usa, Francia e Gran Bretagna) di un seggio permanente con diritto di veto in seno allo stesso Consiglio, diventando di fatto inattaccabili. A scanso di equivoci Pechino ha anche ribadito che le sanzioni sono uno strumento «che non risolve i problemi».

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