La guerra rinsalda il governo e i partiti giocano al carnevale

di  Alessandro De Angelis

Neanche fosse una maschera di carnevale, questo “saio” politico indossato da Matteo Salvini a mani giunte sulla tomba di San Francesco: “Pace prima di tutto, bisogna usare cuore, diplomazia e preghiera, non bisogna rispondere alla guerra con la guerra”. Ah ecco, che è un po’ come mettere i fiori nei cannoni ucraini, invito che però non valeva per l’assessore pistolero di Voghera, assolto a canna fumante perché “la difesa è sempre legittima come estrema ratio di fronte all’aggressione”, quando nemmeno si sapeva se di aggressione si trattava, ma a terra c’era un marocchino.

È il nuovo capitolo del “vangelo secondo Matteo”, che la faccia di Putin ce l’aveva stampata sulle magliette e per la “metà” dell’autocrate avrebbe dato “due Mattarella”: il pacifismo della quinta colonna, come quelli che negli anni cinquanta associavano la parola pace al nome di Stalin, edulcorata da una condanna a metà: “Putin? Sono deluso dall’uomo”, che poi vai a capire cosa significhi, forse l’uomo sì, il politico no, un po’ come il Mussolini che fino alla guerra, signora mia, come arrivavano in orario i treni anche se ammazzava gli oppositori. Fate voi, ma sotto il pelo delle chiacchiere, mica l’ha rotto Salvini quel patto tra la Lega e Russia unita, celebrato nel 2017 come uno “storico” accordo di “cooperazione” tra partiti “fratelli”.

Troppa grazia, San Francesco almeno stavolta si possono accogliere i “profughi veri”, in attesa che don Matteo si lamenti su dove saranno messi, mentre su quelli finti che vengono dall’Africa non si scherza, casomai a qualcuno venisse in mente di non chiudere i porti o ritardare le operazioni di sbarco, vezzo mai dismesso dai tempi del Conte uno, telefonate per credere al comandante dalla Sea Watch. E che dire alla vigilia del martedì grasso, se non “hip hip, hurrà”, come Berlusconi, attovagliato venerdì sera con Dell’Utri e Salvini nel nuovo locale di Briatore davanti a pizzaioli acrobatici mentre Kiev è in fiamme. E nell’euforia poco importa che il Cavaliere si sia dimenticato di diramare un comunicato di ferma condanna dell’accaduto, inibito forse dal ricordo del lettone o dalle festicciole nella dacia di Vladimir.

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