Il Putin atomico è un leader solo, pericoloso ma anche vulnerabile

di  Gianni Riotta

“Мы вас похороним!”, “Noi vi seppelliremo”, esclamò il 18 novembre del 1956, con le macerie di Budapest ancora fumanti per l’invasione sovietica in Ungheria, il primo segretario del partito comunista dell’Urss, Nikita Kruscev, davanti a una sala colma di diplomatici occidentali, all’Ambasciata polacca. “Voi capitalisti… -scandì il leader cresciuto in Ucraina e sopravvissuto alle purghe di Stalin grazie all’obbedienza cieca, che aveva poi condannato il dittatore nel rapporto al XX Congresso Pcus- vi piaccia o no, la Storia sta dalla nostra parte. Noi vi seppelliremo”. Già nell’agosto del 1963, dopo la crisi dei missili a Cuba dell’anno precedente, Kruscev moderava però la retorica bellica e firmava a Mosca, con il giovane presidente John Kennedy, cui restavano solo tre mesi di vita prima di essere assassinato misteriosamente a Dallas, il “Trattato per il bando degli esperimenti di armi nucleari nell’atmosfera, nello spazio cosmico e negli spazi subacquei”, primo tentativo di disgelo pacifico di un mondo sull’orlo dell’inverno atomico.

Una generazione intera, nel dopoguerra, è cresciuta nella paura dell’olocausto nucleare, bambini americani con le esercitazioni a nascondersi sotto i banchi di scuola, bambini sovietici nati in città segrete, mai segnate sulle mappe, come Seversk, Oblast di Tomsk, in mezzo a fabbriche di testate nucleari, dove i cittadini non avevano indirizzo, telefono, identità, fantasmi della Guerra Fredda. In Italia nacque il Movimento dei Partigiani per la Pace, spin off dei partiti comunista e socialista, ispirato dal dirigente stalinista Pietro Secchia che però, ricordava la giornalista Miriam Mafai, diventa popolare per la paura della bomba atomica, al punto che star dello spettacolo, calciatori, scienziati aderiscono agli appelli, pur nel clima anticomunista di quegli anni.

Il poeta beat americano Gregory Corso, nel 1958, scrive il poema “Bomba”, testo in cui i versi disegnano, su una lunga striscia di carta, la macabra sagoma di un fungo atomico: “Incalzatrice della storia/ Freno del tempo/ Tu Bomba/ Giocattolo dell’universo/ Massima rapinatrice di cieli/ Non posso odiarti/ Forse che l’odio il fulmine scaltro la mascella di un asino/ La mazza nodosa di Un Milione di A. C. la clava il flagello l’ascia Catapulta Da Vinci tomahawk Cochise acciarino Kidd pugnale Rathbone/…E non ha S. Michele una spada infuocata S. Giorgio una lancia Davide una fionda/ Bomba sei crudele come l’uomo ti fa e non sei più crudele del cancro/ Ogni uomo ti odia preferirebbe morire in un incidente d’auto per un fulmine annegato/ Cadendo dal tetto sulla sedia elettrica di infarto di vecchiaia di vecchiaia Oh Bomba…” nella traduzione della cara Fernanda Pivano. E, citatissima sui titoli di giornali di queste ore, “Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba”, classica pellicola di Stanley Kubrick, con i meravigliosi protagonisti Peter Sellers e George C. Scott a dibattere sull’atomica come nostra vita quotidiana. Il generale americano Douglas MacArthur, sostengono fonti storiche, chiese il lancio di atomiche contro la Cina di Mao Zedong, durante la guerra di Corea, venendo dunque rimosso dal comando dal presidente Harry Truman.

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