Gli errori di Putin

di Aldo Cazzullo

Il presidente russo ha sottovalutato la resistenza degli ucraini, la reazione degli occidentali e anche gli stessi russi. E ora è in difficoltà

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Vladimir Putin (LaPresse)

Vladimir Putin ha sottovalutato la resistenza del popolo ucraino. Ha sottovalutato la reazione degli occidentali. E — errore gravissimo per un leader della sua esperienza — ha sottovalutato i russi: sia l’opinione pubblica, che non è ancora asservita del tutto (anzi lo è sempre meno), sia il suo entourage, che non pare così entusiasta del pantano in cui il Cremlino si è infilato. È una guerra difficile da decifrare.

Al giorno dei negoziati segue un giorno durissimo di missili, scontri e colonne di carri armati in marcia su Kiev. Come accade sempre, la verità è velata dalla cortina delle false notizie, infittita dalla guerra delle immagini e da quella cibernetica. Ma già si intravede un fatto che può essere contraddetto tra poche ore, ma anche trovare nuove conferme: Putin è in difficoltà. La realtà è diversa dai suoi piani. Perché applicare le logiche di ieri al mondo di domani crea problemi, anche se hai un esercito che ha già tragicamente dimostrato in Cecenia, in Georgia, in Crimea, in Siria, in Libia di saper combattere.

Putin si è mosso con il metodo di un autocrate della prima metà del ’900, se non dell’800: minacce, incidente di confine, invasione, occupazione. L’Occidente ha reagito con il metodo del terzo decennio del ventunesimo secolo, in piena era globale. Le sanzioni finanziarie sono quelle che fanno più male, in particolare ai patrimoni privati: perché puoi accumulare miliardi di dollari sulla pelle del tuo popolo, oppure comprare la più bella villa del lago di Como; ma se non puoi spenderli, o non ci puoi andare, forse rischi di sentirti anche solo per un secondo come la babushka che spigola alla fine delle giornate di mercato.

Poi ovviamente l’Occidente è sempre criticabile e va sempre criticato; altrimenti non sarebbe il «mondo libero». Ma l’Europa, la famigerata Europa, che già aveva battuto un colpo con la pandemia, ha battuto un altro colpo con la crisi ucraina. La Germania che sostiene Kiev, che annuncia il riarmo, che addirittura — con una mossa un po’ precipitosa — promette di aprire a Zelensky le porte dell’Unione, segna uno scatto in avanti che non a caso fa dire al Cancelliere Scholz: nulla sarà più come prima. Se Putin ha pensato che in assenza di Merkel — con cui amava conversare a tu per tu senza interpreti, lui nel tedesco appreso nella sede berlinese del Kgb, lei nel russo imparato nelle scuole della Ddr — avrebbe avuto la vita più facile, ha sbagliato pure questo calcolo.

Intendiamoci: l’esercito russo è più forte, e se intensificasse la pressione finirebbe per prevalere, anche senza far scattare la minaccia atomica. La tragedia del popolo ucraino è tale che il governo accetta di negoziare in territorio occupato, senza neppure ottenere un cessate il fuoco, a un tavolo da cui rischia di uscire un patto leonino, se l’Occidente non intensificherà a sua volta la pressione su Mosca.

Ma non soltanto la storia recente ha mostrato che occupare un Paese vasto e ostile è impossibile
, anche per macchine militari più ricche e meglio intenzionate. Il presente e il futuro mostrano che ogni nazione è ormai interconnessa con le altre. Anche un’economia rudimentale come quella russa, che si regge sull’esportazione di materie, ha comunque bisogno dell’infrastruttura finanziaria su cui si fonda il sistema del credito e degli scambi. E questo vale a maggior ragione per un’economia avanzata che si basa sull’export industriale, come quella cinese. Per questo è evidente che difendere oggi l’Ucraina significa anche difendere Taiwan, o comunque rendere meno sereni i sogni di conquista di Xi Jinping.

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