La forza dei popoli trascina i governi: stavolta la libertà non è negoziabile
Draghi si limita a evocare “ciò che accade 80 anni fa”, prudenza lessicale forse giustificata dal voler evitare, nell’immaginario collettivo, lo scenario conseguente di una nuova guerra mondiale, come se fosse inevitabile. Ma comunque non muta il senso della denuncia, della posta in gioco, della fermezza della risposta, il “non tollereremo”.
Sia come sia, il discorso registra un cambio di passo oggettivo, anche in un paese entrato in questa crisi col retropensiero del Pil e angosciato dalle sue fragilità strutturali, in materia di energia, dopo anni in cui si è spogliato delle produzioni domestiche per andare a comprare all’estero. È il passaggio in cui il premier dice che “Putin pensava fossimo inebriati dalla ricchezza, ma si è sbagliato perché reagiamo”. Rispetto alle timidezze da alleato riluttante, indicato anche da alcuni partner europei come il ventre molle dell’alleanza, c’è il senso di un approccio non negoziabile, sia pur senza nascondere le difficoltà da affrontare: “Sul gas abbiamo più da perdere rispetto ad altri, ma questo non diminuisce la nostra determinazione”. Anche rispetto all’opinione pubblica nazionale, molto più timida qui che altrove, dopo giorni in cui il dibattito ha mostrato una sorta di imprigionamento delle élite nostrane nella morsa tra Pil e collocazione internazionale. Politiche, ma anche economiche, in un singolare rovesciamento del paradigma della guerra fredda che ha mostrato larga parte dell’establishment se non filorusso come ideologia, quantomeno prudente rispetto ai sacrifici da affrontare. La guerra calda, e i popoli, sembrano aver corretto la rotta condizionando i governi. È la democrazia, bellezza
L’HUFFPOST
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