Con le armi consegnate a Kiev siamo già in guerra con Mosca

Gli occidentali conoscono benissimo la differenza: nel 2011 i perseguitati erano i siriani massacrati da Bashar Assad, perfino i gas usava per annientarli. Chiesero armi: per difendersi meglio. Non assomigliavano forse agli ucraini? Obama e l’occidente non volevano far la guerra per loro, i siriani non erano importanti, erano lontani. E infatti distribuimmo loro sorrisi, incoraggiamenti, un po’ di pietà, senza affannarci troppo. Ma neppure un fucile. Perché voleva dire entrare in guerra con Bashar e i suoi alleati. Appunto.

Le parole bisogna rispettarle soprattutto quando le parole sono guerra, invasione, nemico, distruzione. Non sono ombre da evocare e che si può far sparire a comando. Ognuna ha la sua terribile ragion d’essere, ognuna contiene un terribile segreto di conseguenze. Bisogna liberarle per capire cosa sta accadendo e poi tenerle salde se si è dalla parte della giustizia, se servono a difendere vittime e a punire i colpevoli. Dietro ogni parola ci sono altre parole, tutte intangibili e ancora invisibili ma cariche di attesa, di paura e di speranza anche per altri. La parola guerra è stupore e orrore. Talvolta è necessità. Ma bisogna dirlo.

Pudicamente ci rifugiamo dietro la frase: ma noi non inviamo combattenti sul terreno, non ci saranno soldati americani o tedeschi o italiani nelle trincee di Kiev o di Karchov. E con questo concludiamo un allegro armistizio con ogni sorta di interrogativo. Biden ha annunciato, come se fosse una generosa concessione, che non ordinerà e cercherà di mettere in pratica il divieto di sorvolo sul territorio ucraino per bloccare i bombardamenti russi. Come gli americani hanno puntualmente applicato in tutti luoghi in cui si sono impegnati sul terreno dei conflitti dall’Iraq alla libia. Ma non perché vuole tenersi fuori dalla guerra: questa volta di fronte non c’è un nemico che al massimo può schierare vecchi e innocui catenacci. La «no fly zone» equivarrebbe a affrontare duelli incerti con l’aviazione russa, certo non facile da tenere a terra senza subire perdite. Una scelta di prudenza militare. Meglio tenere in prima linea gli ucraini.

Il guaio è che la guerra combattuta senza dirlo, come tutte le furbizie, regge per un tempo limitato. Saranno gli ucraini stessi a farla crollare. Quando la potenza russa si abbatterà su di loro con tutta la violenza possibile, finora ne hanno provato solo sanguinose premesse, le armi «in leasing» non basteranno più e ci chiederanno di tener fede all’impegno che abbiamo sottoscritto inviandole: ci chiederanno di intervenire, di prenderci direttamente per il bavero con uomini in carne e ossa e non con idee pure.

Accade sempre così: prima si spediscono armi e «istruttori», poi si scopre che non basta e ti sei già avvolto in quella guerra, ne sei una parte e l’unico modo per tentare di slegarti è avvolgerti sempre più sperando di ritrovare il capo della corda. Come sul tavolo prima vengono gettati i fanti, poi si passa alle regine, ai re, agli assi.

LA STAMPA

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