Paolo Nori: “Non so cosa temano di Dostoevskij, essere russo non può essere una colpa”

ANNALISA CUZZOCREA

Quale ateneo, quale tempio del sapere, quale luogo di conoscenza, può considerare Fëdor Michajlovič Dostoevskij un pericolo? È questa la domanda che ruota intorno all’incredibile vicenda raccontata da Paolo Nori in un post Instagram diventato virale: un’università italiana, la Bicocca di Milano, ha comunicato allo scrittore – profondo conoscitore della Russia, della sua letteratura come delle sue città, della sua lingua come della sua anima – che il ciclo di lezioni sull’autore di Delitto e castigo, I fratelli Karamazov, L’Idiota, veniva sospeso a causa della situazione internazionale. Al che Paolo Nori, che sa raccontare la Russia come un romanzo e la sua vita quotidiana come fortunati sketch di teatro, ha strabuzzato gli occhi, ha puntato il cursore del portatile di nuovo su, ha riletto daccapo. Poi ha pensato: «Che teste di c…Lo scriva, lo scriva pure: che teste di c.».

Vedendo le sue lacrime sui social non si può non pensare al suo ultimo romanzo, Sanguina ancora. È sempre Dostoevskij a farla sanguinare. Ma stavolta i suoi libri non c’entrano.
«Cosa può far paura di Dostoevskij? Cosa temono di un uomo che è stato condannato a morte perché aveva letto pubblicamente una lettera proibita nel 1849?».

L’università parla di un malinteso, il corso si farà.
«Non so ancora se accettare e anzi non penso che lo farò. A meno che non mi dicano la verità: cosa hanno ritenuto imbarazzante di Dostoevskij riguardo alla guerra? La mail che mi hanno mandato è chiarissima: “Il prorettore alla didattica, d’accordo con la rettrice, ha deciso di rimandare il percorso su Dostoevskij per evitare tensioni interne in questo momento di politica internazionale”. Che malinteso può esserci in una lettera del genere?».

Lei cosa pensa di quel che sta accadendo in Russia e in Ucraina?
«A lezione con i ragazzi del secondo anno (Nori insegna allo Iulm, ndr)abbiamo tradotto l’editoriale del premio Nobel per la pace Dmitry Muratov, il direttore della Novaya Gazeta. Racconta che si sono ritrovati addolorati in redazione e c’è quest’immagine di Putin con in mano il pulsante nucleare come fosse il portachiave di una macchina lussuosa, come stesse giocando. Muratov scrive: “Ci rifiutiamo di considerare l’Ucraina un popolo nemico, questo numero del giornale esce in edizione bilingue, in russo e in ucraino, che non sarà mai per noi la lingua del nemico”. Ecco, io sono contento di aver portato dentro l’università questa roba qui. E ho scritto a un grande fotografo russo, Alexander Gronsky, arrestato in Russia per aver protestato contro la guerra, perché a Reggio Emilia hanno cancellato la sua partecipazione al Festival Fotografia. Gli hanno revocato l’invito perché russo. Mi sono scusato, gli ho detto che mi dispiace».

Le ha risposto?
«Sì. Mi ha detto che non riesce a essere tanto dispiaciuto per la revoca perché soffre per l’Ucraina. Questa guerra è una condanna per tutti. Ci stiamo dimenticando che in Russia ci sono persone così e non dobbiamo farlo. Io voglio ribadire il mio amore per la Russia oggi più che mai».

Si aspettava dall’università questo istinto di censura?
«Nella risposta ho scritto: “Sono senza parole”. Quasi non volevo raccontarlo».

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