Con i soldati in fuga dall’inferno di Kherson. E il fronte della guerra ora è Odessa

dal nostro inviato Giampaolo Visetti

MYKOLAJIV –  In un silenzio assoluto e nel buio della notte la prima grande città ucraina è caduta nelle mani dei russi. Esercito di difesa e popolazione mercoledì avevano disperatamente cercato di evitare a Kherson l’umiliazione della resa.

Anziani disarmati, donne con i bambini per mano e ragazzi arruolati nelle milizie volontarie si sono opposti ai tank e ai blindati di Putin. I soldati di Kiev hanno combattuto casa per casa, coperti dalle molotov fai da te lanciate da tetti e finestre. Prima dell’alba di ieri è stata una delegazione degli stessi abitanti a chiedere alle autorità di città e regione di fermarsi per evitare il definitivo massacro. Troppi morti e feriti. I 290 mila residenti di Kherson da due giorni erano circondati dai russi: dalle rive del Dnipro, dalla foce sul Mar Nero, dalle colonne di carri armati che Mosca ha spostato via terra da Donbass e Crimea. Da ore nella città deserta si muovevano solo mezzi militari e truppe nemiche, scaricate dagli elicotteri MI8 attorno ai luoghi decisivi. La gente si è scoperta stanca, sotto shock. Senz’acqua potabile, cibo, energia elettrica, medicine, senza la speranza di una via di fuga a ovest, verso la costa del Mar Nero che conduce a Odessa e fino alla Moldavia. 

«Abbiamo scelto di trattare con i vertici militari degli invasori per aprire almeno un corridoio umanitario», dice il sindaco Igor Kolykhayev. Se il patto sarà rispettato, presto di qui passeranno viveri, alimentari, farmaci e feriti. Anche le salme, che la città non sa dove seppellire. Con loro cercheranno di fuggire decine di migliaia di persone, fino all’altra notte imprigionate nel sottosuolo dei rifugi. Dure le condizioni imposte dai russi, decisi a insediare a Kherson un governo fantoccio controllato dai militari. In città resta il coprifuoco. A piedi si circola soli o in coppia, obbligati a lasciarsi perquisire. Le auto viaggiano soltanto di giorno e dentro la città, dove sarà possibile inviare alimentari e medicine. Chi è sopravvissuto non sa se, come e quando potrà uscire da un luogo all’improvviso divenuto estraneo, ostile.

Blindati russi in una strada di Kherson (reuters)

Per questo i 60 chilometri della via di fuga fino a Mykolajiv, ultima roccaforte prima che l’avanzata russa irrompa a Odessa, sono oggi invasi solo dai reparti ucraini ritirati da Kherson. Migliaia di camion, tank, ambulanze e furgoni gonfi di soldati feriti, sfiniti e affamati. Ai lati, tendoni improvvisati dove i medici cercano di chiudere le ferite più gravi. Non uno si considera però sconfitto. «È una guerra – dice Roman, capo dell’esercito di difesa territoriale costretto a ripiegare – non una battaglia. Se i russi vorranno prendere Mykolajiv dovranno accettare un impresentabile sacrificio». Sulla strada vengono scaricati centinaia di blocchi di cemento. Volontari alzano muri di mattoni. Donne e ragazzi dei villaggi trascinano migliaia di cavalli di Frisia anti-tank e seminano sull’asfalto ricci di ferro. Caterpillar scavano voragini. Ovunque crescono trincee fatte con sacchi di sabbia, vecchi copertoni, armadi e carcasse di auto. 

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