I grandi marchi lasciano Mosca, Eni e Generali via con Ikea e Bp

di Vittoria Puledda

MILANO – I grandi gruppi abbandonano la Russia. Ieri è stata la volta di Ikea, che ha sospeso produzione, vendita , import ed export, e di Generali, che ha deciso di chiudere la sede di rappresentanza a Mosca, le attività di Europ Assistance nel paese e di ritirare i suoi rappresentanti dal board di Ingosstrakh (ma non di vendere la quota). Dal 2013, infatti, Generali detiene il 38,5% nella compagnia assicurativa, in cui ha una partecipazione del 10% anche l’oligarca Oleg Deripaska. Quota di minoranza quella di Generali (che ha donato 3 milioni a favore dei rifugiati) che nel comunicato aggiunge di «non avere alcuna influenza sulla sua attività».

La compagnia ha aggiunto che «per quanto riguarda gli investimenti finanziari e il business assicurativo, sta valutando costantemente la propria marginale esposizione sul mercato russo ed è conforme al rispetto di tutte le sanzioni che potrebbero essere applicate». Nel frattempo, si sono dimessi dal board russo Giorgio Callegari, Luciano Cirinà (responsabile dei paesi dell’Est per Generali) e Paolo Scaroni, rimasto nel consiglio di Ingosstrakh anche dopo l’uscita dal cda Generali.

Anche dal mondo delle auto, all’hi-tech, a quello dell’intrattenimento, della moda e delle spedizioni, e soprattutto a quello petrolifero, le multinazionali stanno girando le spalle a Putin. L’elenco è lungo: Volkswagen, Toyota, Honda e Mazda (che fermerà le forniture di parti di ricambio) mentre Apple e Nike hanno bloccato le attività commerciali, anche online. In campo energetico la prima a muoversi era stata Bp, che vuole cedere la sua quota di quasi il 20% in Rosneft, anche a fronte di una perdita stimata in 25 miliardi di dollari. Shell vuole uscire dalla joint venture con Gazprom, mentre Exxon sta pianificando una uscita graduale dal paese. La norvegese Equinor ha cessato le partnership con Rosneft, e ha detto addio a Putin anche la danese Orsted. Da giorni anche Eni ha annunciato per quanto riguarda la partecipazione congiunta e paritaria con Gazprom nel gasdotto Blue Stream (che collega la Russia alla Turchia), che «intende procedere alla cessione della propria quota».

Diversa invece la posizione di Unicredit. La banca guarda da vicino le evoluzioni della situazione ma per il momento non ha preso decisioni. «Stiamo seguendo da vicino gli sviluppi, il paese è già stato soggetto a una serie di sanzioni e ci siamo sempre adeguati al contesto», spiega un portavoce dell’istituto. Che, dopo aver venduto nel 2016 la banca in Ucraina, è presente in Russia con Ao Unicredit bank, quattordicesima banca del paese con 70 sportelli e 4 mila dipendenti, ma ha un peso limitato all’interno del gruppo italiano (circa il 3% dei ricavi e il 4% del patrimonio netto complessivo).

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