La libertà più forte delle bugie

Ma proprio perché riconosciamo i segni, quello che stiamo attraversando ora — quello che sta succedendo a noi — va accolto e custodito, sfilato all’incredulità.

Molti infatti diranno: non dura, non durerà. E allora prendiamo nota: subito, insieme. Della guerra finanziaria senza precedenti; di un’Unione Europea che non teme di armarsi di più per difendere meglio i suoi valori; di Georgia e Moldova che ieri hanno chiesto di aderirvi; della Fifa che con un sussulto etico mette al bando la Russia; dell’oligarca Roman Abramovich, con cittadinanza a Londongrad, che vende il Chelsea e promette i ricavi alle vittime della guerra; della gente comune che si appresta a pagare il suo prezzo alla cassa della spesa o alla lettura dei contatori; delle migliaia di russi portati via dalla polizia per aver scritto “pace” sui coperchi delle scatole di scarpe. Di un popolo intero, quello ucraino, che, guidato da un leader che faceva il comico in tv ma non è fuggito al primo colpo di cannone come pronosticavano a Mosca, «ha mostrato la faccia, non le spalle» agli invasori. E adesso chiede a noi di «dimostrare di essere europei».

Il sistema delle democrazie liberali — spesso ostaggio di sé stesso, delle proprie mancanze e autoflagellazioni — non è ancora spiaggiato lungo la riva degli imperi. Non è vero che le democrature, nuove autocrazie, sono più efficienti. Questa guerra lo dimostra nonostante il serpente militare lungo 60 chilometri che si appresta a soffocare Kiev.

Dopo due anni di pandemia, di morte e lockdown; dopo i lunghi mesi — che ci sembrano lontanissimi, ma sono dietro l’angolo della memoria europea — degli attentati integralisti al Bataclan, ai mercatini di Natale, sulle Ramblas; dopo i ritiri rovinosi da altre guerre nelle quali pure per vent’anni avevamo creduto. Dopo tutto questo e per tutto questo, possiamo ritrovare le radici di quello che siamo. Non solo: possiamo riconoscerle in generazioni nuove, quelle che spaventano Vladimir Putin nel suo castello di fantasmi novecenteschi. Gli studenti lo spaventano più dei professori che volevano esportare la democrazia. Lo spaventano perché rappresentano un altro Occidente possibile, non quello che uscì dal 1945 , oltre quello del 1989.

La distanza tra quanto potrebbe venire e un mondo arcaico si misura nella differenza tra Volodymyr Zelensky che tiene in mano il cellulare mentre dice «Io sono qui, onore agli eroi» — soltanto un braccio di distanza tra lui e tutti noi — e i 20 metri del tavolo dal cui angolo l’aspirante zar Putin lancia solitario i suoi editti contro una banda di presunti «nazisti drogati». Il primo vicino, semplice, capace di trovare le parole per raccontare una storia che è Storia. Il secondo così inespressivo, nonostante la brutalità, da sembrare in trance, occhi senza sguardo, perso in una bolla dentro la quale finisce per credere alle sue stesse bugie.

CORRIERE.IT

Rating 3.00 out of 5

Pages: 1 2


No Comments so far.

Leave a Reply

Marquee Powered By Know How Media.