Kiev, una missione impossibile sul luogo del delitto
Carlo Verdelli
Uno dei più rilevanti leader del mondo, Vladimir Putin, ha deciso di cambiare la storia, e anche la geografia, di una parte della Terra. Ma le grandi potenze che dovrebbero impedirglielo non hanno ancora trovato un modo per fermarlo.
Un modo per evitare l’effetto domino che comporterebbe l’annessione dell’Ucraina (44 milioni di abitanti e 250 mila soldati contro un aggressore da 144 milioni di abitanti e 780 mila soldati, il secondo esercito della Terra) al disegno folle di un ritorno alla Grande Madre Russia.
Ma forse è proprio da lì che si dovrebbe ricominciare, dalla trincea di Kyiv (denominazione ucraina della capitale, invece della russa Kiev). Presidiarla come se fosse l’avamposto vitale della democrazia che in effetti è, il confine ultimo tra il sovranismo selvaggio e la tutela minima dei principi fondanti della comunità occidentale. Spostare quel confine più indietro, darlo per perso confidando in altre retroguardie, è un peccato storico di cui tutti rischiamo di pagare un prezzo incalcolabile. Sì, ma come? Immaginiamo un gesto forte, simbolico, realizzabile al più presto a fronte della violenza travolgente degli eventi. Immaginiamo che tutte le personalità più influenti d’Europa organizzino un summit proprio nella città che ormai conta con angoscia i giorni che la separano dalla caduta. Immaginiamo che aderiscano la presidente della Commissione europea Von der Leyen, i capi di Stato o di governo dei Paesi membri, compresi i nostri Draghi o Mattarella, i rispettivi ministri degli Esteri, un delegato ufficiale della Santa Sede. Una testimonianza viva e collettiva che rompa l’assedio e interrompa la spirale al peggio che sembra avviata in modo irreversibile.
Bombardare la seconda centrale nucleare d’Europa, quella di Zaporizhzhia nel sud ucraino, per di più in una notte di tregua, rischiando un’altra Chernobyl moltiplicata per sei, segna un punto di non ritorno in un conflitto che è sbagliato definire guerra, dal momento che è una pura invasione, scatenata senza un’ombra di pretesto credibile e portata avanti nel disprezzo criminale del diritto internazionale e del supremo valore dei diritti umani. Se dopo un colloquio a due con Putin, il presidente francese Macron, l’unico leader forte rimasto in Europa dopo l’uscita di scena della Merkel, dice che «il peggio deve ancora venire», e lo dice con un senso di impotenza, i distinguo e le speranze precipitano nel vuoto, perdendo senso e peso.
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