I pacifisti vogliono trattare con Putin ma è Putin che non vuole trattare con loro
Mentre in Ucraina è in atto un massacro, la cui atrocità è tale rendere inadeguato qualunque aggettivo, un singolare dibattito attraversa l’opinione pubblica e le élite italiane in modo trasversale. Che suggerisce una semplice domanda: ma davvero chi manda le armi per difendere Kiev – non per bombardare Mosca – è contro la pace, e favorisce l’escalation? Non si può intervenire militarmente, come ovvio, se non si può nemmeno aiutare il popolo ucraino a difendersi, che cosa si può fare che non turbi le anime belle di certo, non tutto, il pacifismo nostrano?
La Cisl, non proprio un’associazione guerrafondaia, non ha aderito alla manifestazione di piazza San Giovanni, indetta dalla Rete per il disarmo, diversamente da Uil e Cgil, proprio a causa di questo “equivoco” tra pacifismo e neutralismo, vecchio tic da guerra fredda che scatta a ogni guerra calda. Si dice, nel comunicato che annuncia l’adunata: “La pace è possibile solo fermando la fornitura di armamenti, che possono solo acuire il conflitto”. È un’affermazione impegnativa: se il conflitto prosegue, un po’ di colpe ce l’ha anche l’Occidente che aiuta la resistenza. Stesso concetto viene espresso in un lungo comunicato della Ong Mediterranea: “Il legittimo diritto alla resistenza degli aggrediti non può diventare la scusa dei governi europei per lavarsi la coscienza favorendo l’escalation. Non può voler dire inviare armi senza assumere coraggiose iniziative politiche e lavorare a un cessate il fuoco immediato”.
Certo, se Putin avesse già annesso l’Ucraina, dettando le sue condizioni, la guerra sarebbe già finita. Ogni resa è la fine del conflitto, altro che via diplomatica. E chissà, se compiuta l’annessione, qualcuno avrebbe indetto una manifestazione contro l’imperialismo russo. In fondo, questo dibattito è possibile proprio perché c’è chi non si è arreso. Perché la democrazia, colpita nel cuore dell’Europa, non si è arresa. Invece, in questo gioco degli specchi per cui formalmente tutti sono vicini al popolo ucraino ma sostanzialmente si pratica una equidistanza moralisteggiante, l’equivoco sta nello sbandierare l’idea di un negoziato possibile alternativo all’uso della forza, quando invece la forza, intesa come contrasto all’aggressione, ne è l’unico presupposto.
Quale sarebbe la via diplomatica per far ragionare Putin? Pochi giorni prima dell’invasione del Donbass sono volati a Mosca Scholtz e Macron, e anche il governo italiano pensava, mettendo in agenda una visita che fosse percorribile la via della trattativa. Si è visto quel che è successo e, ancora ieri, il presidente francese, dopo una telefonata con Putin, ha dichiarato che “il peggio deve ancora venire”. La resistenza è dunque la via della diplomazia, però tutta la discussione si è spostata sulle armi che manda l’Occidente, senza soffermarsi più di tanto sulla “gradualità” scelta, proprio per evitare l’escalation che ad esempio sarebbe resa possibile da una no fly zone, che pure il governo ucraino ha chiesto. A quel punto, basta una scintilla e patatrac. Le armi inviate sono difensive, non offensive, ma questo non conta.
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