I pacifisti vogliono trattare con Putin ma è Putin che non vuole trattare con loro

Tecnicamente, si chiama ipocrisia, non pacifismo. Per cui quando ci sono di mezzo gli americani è “anti-imperialismo”, quando riguarda gli altri è “terzomondismo” o neutralismo d’antan, ma mica si dice che Putin è “imperialista”. Non si può forse andare in piazza contro l’imperialismo russo con lo stesso spirito con cui ci si andò contro l’Iraq, scellerato intervento che ha complicato la lotta al terrorismo? Al fondo c’è una riluttanza che non rappresenta un ventre molle, ma proprio un’altra visione propria di chi si sente non fino in fondo parte dell’Occidente e del suo sistema di valori, per cui c’è una colpa, in questo caso di Putin, ma, nel condannarla, si chiede innanzitutto l’autocritica dell’Occidente. Prima attribuendogli la volontà di “annettere” l’Ucraina nella Nato poi attribuendogli la responsabilità dell’escalation. E si concluderà, prima o poi, che è arrivato il momento di ascoltare le “ragioni dei russi”, come già sentito in passato con altri aggressori e altri dittatori.

È su questo terreno che avviene l’incontro tra la destra populista che si nutre di russofilia e pezzi di una vetero-sinistra, tra Salvini che prega e Landini che si incazza contro le armi, qualunque esse siano, tra Maurizio Belpietro che parla ai no vax filo russi e padre Alex Zanotelli: “Il popolo ucraino – dice – ha diritto di difendersi (bontà sua, ndr), ma noi dobbiamo chiederci cosa abbiamo fatto come Ue, Nato, Occidente, che ha responsabilità enormi”.  È un approccio denso di suggestioni antiche, per cui quello americano che, per carità non stata un’invenzione, è l’unico imperialismo in campo, mentre non si legge come atto imperialistico quello di Putin che invade uno stato sovrano come ai tempi del ’39 e, al contempo, si omette anche quello cinese.

L’autocritica come arte di “equidistanza”, la parola nobile “pace” come alibi, mancando questa volta pure la parola Nato che consentì, ai tempi del Kosovo, di andare in piazza contro la guerra americana, schierandosi così a difesa dell’ultimo epigono dell’Urss che praticava la pulizia etnica. Non è un dettaglio ricordare che anche che Massimo D’Alema allora premier della “guerra giusta”, qualche anno dopo scrisse un libro per dichiararsi pentito definendola “un errore”, e ci risiamo coi riflessi antichi. E c’è poco da fare, in questa ridda di sfumature, anche chi ha scelto una posizione impegnativa sente il bisogno di alzare una cortina fumogena per presentare la scelta come di continuità col passato e non di rottura. È il motivo per cui Pier Luigi Bersani, capo di una forza di sinistra-sinistra, dopo aver votato armi e sanzioni, dice che non gli piace “l’Europa con l’elmetto” e che manca uno statista come Metternich, quando in verità manca innanzitutto una Waterloo di Putin senza la quale è impensabile nuovo congresso di Vienna. Resta il tema: che cosa si può fare se non aiutare il popolo ucraino a resistere?

L’HUFFPOST

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