Mike Mullen: «Con una no-fly zone si rischia una guerra tra la Nato e la Russia»
In Georgia la battaglia fu abbastanza dura: i russi non combatterono bene, ebbero problemi, ma poi usarono la superiorità numerica sopraffacendo i georgiani. Sospetto che con un aumento del livello d’attacco sulle città ucraine — incoerente e casuale in termini di edifici colpiti e distrutti — ora Putin userà forza massiccia: tutte e 190.000 le truppe sono entrate nel Paese, cercherà di schiacciare le città principali. Se potesse, non distruggerebbe Odessa, non livellerebbe Kiev riducendola in una Stalingrado. Ma io credo che farà quello che farà quello che serve. Ma poi come farà a controllare il Paese? Ci vorranno secondo le stime tre, quattro o cinque volte il numero di truppe che ha adesso. Dove le prende? E se lo fa, c’è questa possibilità spaventosa di truppe russe al confine polacco e romeno, che aumenta notevolmente il potenziale di uno scontro Est-Ovest».
Ci sono scenari
diversi su come potrebbe andare a finire questa guerra. Lei ne ha
descritti alcuni. Uno di essi è il «pantano»: Putin prende il Paese ma
la battaglia continua per un lungo periodo.
«In realtà non è la fine. Purtroppo siamo stati per anni in
Afghanistan, come i russi prima di noi. Ci vuole molto tempo perché
queste cose finiscano: anni, decenni, francamente».
C’è dunque questa possibilità che prenda Kiev e Odessa e che la guerriglia continui.
«Sì, corretto».
Quali sono gli altri scenari? una guerra Nato-Russia? Una nuova Cortina di ferro?
«La guerra Nato-Russia è… non penso e spero certamente che non
succeda. La gente ne parla come qualcosa che potrebbe accadere, ma
vorrei che non diventasse reale semplicemente parlando della
possibilità, anche se certamente in caso di fuoriuscite… E ripeto
chissà cosa sta pensando Putin… ma chiaramente da parte della Nato e
dell’Occidente, è qualcosa che non vogliamo che accada. Una guerra sul
terreno in Europa sarebbe tremenda, non solo oggi ma lo è stato
storicamente. Ci saranno sforzi davvero significativi per assicurarsi
che non accada. Qual che è davvero difficile capire è l’effetto delle
sanzioni. In passato sono stato scettico sulle sanzioni, perché di
solito sono selettive e facili da aggirare, individui come Putin sono
stati in grado di farlo evitando di essere personalmente colpiti. Ma
stavolta con l’entrara in vigore rapida di sanzioni, che riguardano
anche SWIFT e con quello che sta succedendo all’economia russa e la
rapidità in cui il mondo li sta isolando e schiacciando, avremo una
nuova Russia dopo tutto questo. Non so che cosa significhi: una nuova
struttura di sicurezza nel mondo e in Europa, una ristrutturazione della
sicurezza energetica, in cui la dipendenza da Putin e la loro
inaffidabilità sarà un tema centrale e ci saranno decisioni difficili da
prendere. Ciò che ha fatto il leader tedesco è incredibile. Se pensate
che 1) È nuovo; 2) La sua politica storicamente è stata di cercare di
lavorare con la Russia; 3) Hanno abbandonato rapidamente, anche se forse
troppo rapidamente, il nucleare. Penso che sia incredibile e un grande
messaggio al mondo su ciò che i leader devono fare. E ci sarà la
necessità, come durante la Seconda Guerra Mondiale, quando i Paesi
dovevano fare dei sacrifici per garantire un futuro migliore. Facciamo
l’esempio del grano: la Russia e l’Ucraina controllano circa il 25% del
mercato del grano. I prezzi di grano, mais, soia è aumentato e dovremo
fare dei sacrifici per adeguarci, tutti dovranno farli, perché siamo
così interconnessi globalmente.
E l’ultima questione è il ruolo
enorme della Cina- Sappiamo tutti che il 4 febbraio Putin e Xi Jinping
hanno firmato un accordo, sono i due leader peggiori del mondo per
quanto mi riguarda. Da una parte la Cina è bloccata con Putin: Xi
Jinping non prenderà le distanze da lui. E d’altra parte però se non
prende le distanze, che cosa farà? Io ho paura che rafforzerà il suo
sostegno a Putin. Questo conflitto tende a cristallizzare l’opposizione
tra democrazie e autocrazie, bisognerà prendere decisioni difficili. Ma
sono stato incoraggiato da ciò che ho visto in Ungheria e in Polonia,
Paesi che avevano preso la deriva verso la destra autoritaria. Anche
Erdogan in Turchia, che certamente si è mosso nella colonna
dell’autoritarismo, sta cercando di capire come risolvere la crisi
anziché sedersi a osservare».
Pensa che Putin miri a Moldavia e Transnistria?
«Nessuno lo sa. Certo, le possibilità sono più reali a seconda di
come vanno le cose. Quando ero in servizio ed ero coinvolto nella Nato,
passavo molto tempo con i fratelli dei Paesi Baltici quando visitavo
Estonia, Lettonia e Lituania. Era 15 anni fa, ma anche nelle giornate
migliori, loro si preoccupavano proprio di quello che mi chiedete. Non
oso immaginare quanto siano preoccupati adesso. È una questione della
forza fisica della Russia che può semplicemente srotolarsi su di loro, e
non vogliono tornare indietro. Temo che chi di noi non ha vissuto sotto
quel regime e nel Patto di Varsavia e ha avuto la fortuna di essere in
Occidente durante tutta la Guerra Fredda, non capisca fino in fondo la
loro prospettiva e che dunque non facciamo abbastanza per evitare che le
loro paure si realizzino. Lo stesso vale per la Moldavia e per quello
che chiamo il “ponte missilistico” di Kaliningrad, tra due nazioni. Non
c’è dubbio che strategicamente Putin voglia riprendere quanto più
possibile. Perciò in generale io mi preoccuperei: meglio presumere che
sia quello che vuole e fare di tutto perché non accada».
Se Erdogan limita il passaggio alle navi russe dal Bosforo può ostacolare le loro operazioni nel Mar Nero?
«Nella mia vita precedente, sapevo molto sulla situazione nel
Bosforo e conosco bene la Convenzione di Montreux e come i turchi
vogliono controllare quelle acque. Non so quali siano le regole adesso,
ma la Marina Usa — noi dovevamo chiedere il permesso per entrare. E
c’erano delle limitazioni sul numero di giorni e di navi che potevano
stare là: 72 o 96 ore e poi si tornava indietro, a meno che non ci fosse
un’eccezione. Quello che dico per implicazione — perché non ho seguito
da vicino ma i turchi stanno riprendendo il controllo, rifiutando di far
passare i russi — è che questo sarà fonte di tensione per la Turchia,
per Erdogan e per la Nato. Non dovremmo dimenticare che, per quanto la
Turchia possa essere complicata, è membro della Nato ed è fondamentale
che agisca in congiunzione con l’Alleanza, perché quelle acque sono
critiche e c’è la possibilità che diventino un altro punto di grande
tensione. I russi ne hanno bisogno, hanno bisogno di Odessa e di un
semi-controllo sul Mar Nero, ad un certo punto avranno bisogno di quel
porto commercialmente ed economicamente».
Quali sono le difficoltà di una sbarco anfibio a Odessa?
«La difficoltà è lo sbarco stesso. Se lo fai domani o in tre
settimane non sarò meno difficile, è una operazione davvero dura da
eseguire. Non so quanta fretta abbiano. Se prendi il Paese, la capitale,
magari arrivi al punto in cui gli ucraini e i loro leader alzano le
braccia e dicono “basta”; allora puoi entrare tranquillamente a Odessa
anziché combattere brutalmente la resistenza».
Il fiume Dnipro, che divide e collega l’Ucraina, sarà cruciale in questa guerra?
«Penso che sarà cruciale ed è chiaramente centrale. Dalla mia
prospettiva, è una delle ragioni per cui vedi tante armi a lungo raggio.
La questione sta diventando: Putin può portare alla resa gli ucraini
bombardando indiscriminatamente le città con i missili, in modo che il
Dnipro non entri in gioco? Se invece deve fisicamente circondarle, il
fiume giocherà un ruolo maggiore, può essere un ostacolo e prolungare il
conflitto. Bisogna guardare gli sviluppi in questi quadranti
interdipendenti. I media Usa sono affascinati dallo stallo del convoglio
di 40 chilometri ma ci sono altre cose di cui preoccuparsi. Si muoverà
prima o poi, come i mezzi anfibi. Anche se non lo hanno fatto finora,
questo non significa che siano bloccati. Nemmeno lontanamente».
Lei è appena stato in missione a Taiwan, martedì e mercoledì scorso: una delegazione di ex Alti ufficiali e funzionari Usa. Che cosa significa l’invasione ucraina per il futuro di Taiwan?
«Siamo andati a rassicurarli. Ci sono alcuni paragoni legittimi tra l’Ucraina e Taiwan ma anche differenze. Gli Stati Uniti hanno un rapporto profondo con Taiwan (saranno 43 anni ad aprile). Li appoggiamo nel rispetto della politica dell’unica Cina e l’obiettivo è che nessuna delle due parti si muova né verso la coercizione — che porti a una invasione per prendere Taiwan — né all’indipendenza auto-dichiarata da parte dell’isola. Vogliamo mantenere l’equilibrio. Quattro delle cinque maggiori economie mondiali sono nel Pacifico occidentale, vogliamo la stabilità in questa parte critica del pianeta. Ma con quello che la Russia sta facendo in Ucraina, molti taiwanesi chiedono: dopo toccherà a noi? Noi pensiamo di no. Sono rimasto colpito dalla presidente Tsai e dal mondo in cui affrontano la situazione, lei è stata rassicurata dalla nostra visita, che non era solo simbolica ma sostanziale. Teniamo molto a questo rapporto e non vogliamo che scoppi alcun conflitto là».
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