Putin ha sottovalutato la forza dei (nostri) valori

di Angelo Panebianco

Questa guerra costituisce anche un attacco al nostro concetto di società. Ma l’Occidente ha le idee più persuasive e attrattive

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Vladimir Putin in un ritratto di Fabio Sironi

È una ingenuità che nasce da ignoranza della storia pensare che la «forza delle idee» sia, da sola, in grado di sconfiggere le armi. Il «mattatoio», come Hegel definisce la storia umana, ce ne ha dato infiniti esempi contrari. Ma è anche una ingenuità (di segno opposto) credere che le idee, se sono convinzioni diffuse, non abbiano un peso rilevantissimo nei conflitti. In questa guerra due circostanze lo dimostrano.

La prima è data dal fatto che la guerra lampo, che Putin credeva di fare quando ha ordinato l’invasione, è fallita perché l’Ucraina è una nazione autentica, gli ucraini hanno mostrato di pensare a se stessi come a una comunità la quale non è tale solo perché occupa un territorio ma anche perché dispone di una identità in cui si fondono amor patrio, fiducia in una leadership (Zelensky) all’altezza della sfida e desiderio di libertà. Per inciso, si può ipotizzare che Putin abbia umiliato pubblicamente il capo dei servizi segreti perché quest’ultimo, sapendo, grazie alle spie in Ucraina, come la pensavano davvero gli ucraini, abbia fatto a Putin un resoconto veritiero che il dittatore non voleva ascoltare.

La seconda circostanza è data dall’improvvisa rivitalizzazione dell’Occidente, dal rinsaldarsi dei legami, che si stavano sempre più sfilacciando, fra Europa e Stati Uniti e dalla nuova spinta, innescata dalla guerra che Putin ha scatenato nel cuore dell’Europa, all’unità degli europei, all’accantonamento, in modo ancor più netto rispetto al momento dello scoppio della pandemia, delle tradizionali divisioni nazionali in seno alla Ue.

Da questo punto di vista occorrerebbe rimediare a una (piccola) ingiustizia. Dopo la fine della Guerra fredda il politologo statunitense Francis Fukuyama è stato sbeffeggiato a lungo per avere dedicato un libro di successo (citando Hegel) alla «fine della storia». L’errore ci fu senz’altro ma non fu suo, fu di quegli occidentali che presero alla lettera quella espressione e che ne dedussero l’idea che i grandi conflitti fossero finiti per sempre. Intesa non in senso letterale ma restituendole il significato filosofico che Fukuyama le attribuiva, quell’espressione è tuttora valida, e proprio la guerra ucraina lo dimostra. Fukuyama intendeva dire che, finita la Guerra fredda, affondata la dottrina comunista per effetto della disgregazione dell’Urss, era scomparsa l’unica ideologia che avesse la potenza e la credibilità sufficienti per competere con l’Occidente, per parlare indistintamente a tutti gli esseri umani. Dopo il comunismo, nessun’altra ideologia avrebbe avuto la stessa capacità di penetrare nei vari angoli del mondo per opporsi alle idee-forza occidentali.

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