Il coraggio di dire no a Putin

STEFANO STEFANINI

«Condanniamo inequivocabilmente le azioni militari della Federazione Russa sul territorio dell’Ucraina». È censura politica, è sdegno morale, quando lo dicono le Nazioni Unite, i leader mondiali, la gente scesa nelle nostre strade e piazze per solidarietà con l’Ucraina aggredita. È straordinario coraggio quando sono i russi a dirlo. Lo hanno fatto ieri i firmatari di una incredibile «lettera aperta al Presidente della Federazione Russa», tutti studenti, ex-studenti e insegnanti della prestigiosa fucina diplomatica russa, l’Istituto Statale di Relazioni Internazionali di Mosca (Mgimo).

Ci hanno abituato al coraggio russo i dissidenti e oppositori del regime putiniano, messi di forza ai margini della vita politica del Paese, sottoposti a violenze della polizia, angherie, carcere sommario quando non eliminati dalla pallottola di un sicario, dal novichok o polonio. Ci hanno abituato i manifestanti manganellati senza cerimonie, i bambini messi dietro le sbarre dei furgoni penitenziari, le vecchiette strattonate per la strada. Il coraggio politico e ideologico di dire di no è altrettanto straordinario per due motivi.

Innanzitutto, viene dall’interno del sistema. Per minoritario che sia rispetto al resto dell’apparato burocratico e governativo, forse a disagio ma allineato e coperto col Cremlino, rivela una sottile crepa nella muraglia di mobilitazione nazionale eretta da Vladimir Putin e dai fedeli “siloviki”. Che basta a non far dormire sonni tranquilli al dittatore chiuso in paranoico isolamento. Forse allungherà ancora il tavolo che lo separa dagli interlocutori, negli incontri con russi e stranieri, attualmente calcolato a distanza di sicurezza “von Stauffenberg” (attentatore di Hitler) – la tecnologia, si sa, ha fatto progressi dal ’’44. La politica di meno, prova ne sia Vladimir Putin.

La lettera nasce nel cuore istituzionale della Russia. All’Mgimo si forma la élite diplomatica e accademica del Paese. Vi hanno studiato Sergei Lavrov, Ministro degli Esteri di Putin, e Kassim-Jomart Tokayev, Presidente del Kazakistan. Più molti altri, russi e stranieri. Vanta il prestigio accademico di una Harvard bostoniana o di una SciencePo parigina ma è soprattutto la scuola di generazioni di operatori di affari internazionali ai quali è poi affidata la politica estera russa e la tutela degli interessi nazionali. Che poi portano avanti con altissima professionalità. Non è certo un nido di sentimenti antirussi.

In secondo luogo, siamo di fronte a una manifestazione di estrema lucidità politica e diplomatica. La lettera riflette il “mestiere” di chi l’ha scritta. Rivendica valori quali cooperazione internazionale, collaborazione culturale, sicurezza attraverso il dialogo, «importanza di un sistema globale di trattati per la limitazione degli armamenti nucleari», con un giudizio tranciante: l’intervento militare della Russia in Ucraina «ha reso impossibile la realizzazione dei valori che noi abbiamo metabolizzato».

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