La strage di Kiev: “Io, sorpreso dal boato. Poi quei corpi a terra”
L’immagine che si presenta davanti ai nostri occhi sembra il set di un film: due corpi coperti da dei lenzuoli a fiorellini rosa – devono essere state prese da una casa li davanti – un trolley grigio in piedi, con il manico disintegrato. La mano che giace sull’asfalto, scoperta dal lenzuolo, è sporca di sangue. Quella famiglia era riuscita ad attraversare il passaggio scivoloso sul fiume, sotto al ponte crollato a causa dei bombardamenti. Ce la stava facendo a mettersi in salvo, trascinavano il trolley pieno di sogni verso la salvezza, ormai mancava poco per uscire da Irpin: bastava arrivare in fondo a quel rettilineo di neanche tre chilometri. Come stavano facendo tutti, a migliaia, con quelle colonne di autobus gialli che portavano fino alla stazione.
Ma la guerra funziona così; non uccide tutti. E forse è per questo che continuiamo a fare le guerre, forse finché non tocca a noi non riusciamo a provare empatia.
Empatia per quei corpi straziati dall’esplosione, perforati dalle schegge, per quelle persone che volevano allontanarsi da quel piccolo angolo di tranquillità di campagna che era Irpin.
Prima della guerra, spesso gli abitanti di Kiev decidevano di trasferirsi lì proprio per la tranquillità. Che assurda atrocità è la guerra.
Ieri, il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha urlato al mondo il dolore di un popolo martoriato: «Oggi è la domenica del perdono. Però noi non perdoneremo le centinaia e centinaia di vittime, le migliaia e migliaia di sofferenze. E anche Dio non lo perdonerà. Né oggi, né domani, né mai». Invece «della giornata del perdono – ha aggiunto nel messaggio postato su Facebook – ci sarà il Giorno del Giudizio». Stamane ricominciano i colloqui di pace, ma le speranze sono quasi zero. La mediazione del premier israeliano Naftali Bennett sembra non decollare. Anche il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha chiamato Putin e anche lui ha fatto sapere di avergli chiesto di «garantire il cessate il fuoco e aprire corridoi umanitari». Zelensky, dal bunker dal quale dirige le operazioni, cambia tono nei confronti dei partner occidentali: «Vi chiediamo ogni giorno una no-fly zone, se non ce la date, almeno forniteci aerei per proteggerci. Se non ci date neanche questi, rimane una sola soluzione: anche voi volete che ci uccidano lentamente. Questa sarà anche responsabilità della politica mondiale, dei leader occidentali. Oggi e per sempre». Si tratta di un richiamo forte alla Nato, all’Europa, all’America, i cui protagonisti sembrano però impotenti rispetto all’escalation russa. La Polonia ha infatti ufficialmente chiuso la porta alla possibilità di fornire alcuni aerei all’Ucraina, idea sponsorizzata da Washington, mentre da Mosca il ministero della Difesa minacciava ancora i Paesi confinanti. Qualunque Paese ospiti aerei militari ucraini «sarà coinvolto nel conflitto», dicono gli uomini del Cremlino.
Per il secondo giorno di fila sono falliti i corridoi umanitari a Mariupol. Medici senza Frontiere racconta di esplosioni molto vicino alle abitazioni civili, nelle strade della città: «Ci sono quartieri che sono pesantemente bombardati, martoriati», dicono gli operatori umanitari, molti dei quali del posto. Mentre l’acqua da bere non si trova quasi più: «Abbiamo visto persone che si abbeverano dagli irrigatori, si formano code lunghissime per un po’ d’acqua. Ci sono camion dell’Unicef presi d’assalto». E manca il pane: «Non c’è nessun posto dove trovarlo. La maggior parte dei negozi e dei supermercati è stata presa d’assalto. Qualcuno spacca le finestre per accaparrarsi le ultime scorte». Stessa condizione per gli ospedali: «In una struttura nella parte occidentale della città, dove la battaglia si avvicina sempre di più, l’incubo sono i bombardamenti, perché sono colpiti gli edifici non lontano». Il telefono, a Mariupol, non funziona quasi più. E manca anche l’elettricità per ricaricarlo.
LA STAMPA
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