Le sanzioni utili ma non bastano

Carlo Cottarelli

In questo articolo do il mio parere sull’efficacia e sull’opportunità delle sanzioni economiche introdotte dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Userò la forma di rapide risposte a rapide domande. Credo infatti che sia meglio spezzettare la questione in varie parti piuttosto che rispondere alla semplice domanda “le sanzioni funzioneranno?”. Cominciamo.

Le sanzioni sono sufficientemente ampie? Sono ampie, anche se non tanto quanto quelle imposte all’Iran in passato (nel momento di massima estensione di queste ultime). Il divieto di fare operazioni finanziarie con le banche russe copre il 70 per cento di queste ultime (in termini di attivo bancario). L’esclusione dal sistema di pagamenti Swift copre il 30 per cento delle stesse (essendo escluse la prima e la terza banca russa). Il blocco delle riserve della banca centrale colpisce il 50 per cento delle riserve russe. Le misure personali (contro politici e oligarchi) sono estese, anche se l’Europa ha deciso di colpite una lista più lunga di quella degli Usa. Non si è arrivati a bloccare gli acquisti di idrocarburi e altre materie prime russe (che fanno arrivare 1,5 miliardi al giorno alla Russia), per evitare di fare troppo male a noi stessi. Non è una mancanza irrilevante. Quanto aggirabili sono le sanzioni? Un significativo grado di “aggiramento” è prevedibile. Da un lato la Russia si era già preparata prima dell’attacco all’Ucraina, per esempio riducendo le proprie riserve valutarie detenute in Occidente. Dall’altro il numero dei Paesi che non partecipa alle sanzioni resta elevato. Se per alcune sanzioni si è unita persino la Svizzera, restano fuori molti paesi, la Cina essendo l’esclusione più rilevante sia in termini di commercio estero russo, sia di transazioni finanziarie (e non dimentichiamoci dei paesi che sono paradisi fiscali dove stanno una buona parte dei soldi degli oligarchi).

Quanto penalizzeranno l’economia russa? Nonostante i sopracitati limiti, l’effetto sull’economia russa non sarà trascurabile, soprattutto nel breve periodo e soprattutto per un’economia che comunque non andava molto bene (con un tasso di crescita nel quinquennio pre-Covid di solo lo 0,5 per cento l’anno). Non per caso il rublo è caduto del 20 per cento rispetto al dollaro, con effetti negativi sull’inflazione futura. Reindirizzare i rapporti commerciali verso altri paesi non è qualcosa che può essere fatto senza costi. Anche nel lungo periodo l’effetto si farà sentire, ma molto dipende dal ruolo della Cina e degli altri Paesi emergenti. E’ l’effetto della globalizzazione: nel 1999 i Paesi avanzati rappresentavano l’80 per cento per Pil mondiale; vent’anni dopo sono scesi al 59 per cento.

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